Fiumi e paludi [827]

Veneto3500
Il Veneto, 3500 anni prima di Cristo.

Revisione testo: 10 aprile 2022 – Revisione delle immagini 29 gennaio 2021 – Undicimila anni prima di Cristo, finiva il periodo freddo del Quaternario ed i ghiacci che avevano ricoperto l’ Europa cominciavano a sciogliersi.

Così pure nel nostro Veneto. Non si erano tuttavia sciolti del tutto e la zona segnata in grigio nella carta del Veneto 3500 a.C, era ancora il regno dei ghiacci e delle paludi. Il corso dei fiumi era chiaro e determinato sino alle zone coi punti di domanda blu. Le zone bianche erano abitate da mille anni circa. Prima di proseguire, fissiamo bene la nostra attenzione su un fatto importantissimo: i fiumi costituiscono fonte di vita ma soprattutto sono un ostacolo enorme per gli spostamenti. Inutile dire che nelle zone paludose di pianura non vi abitava quasi nessuno: c’ era la malaria, non c’ era selvaggina ed i terreni non erano coltivabili.

Nel frattempo, la vita prosperava al sud: in Egitto, c’ era l’Impero Egiziano  e in Asia minore (gli attuali Iraq, Palestina, Libano e zone limitrofe) c’ erano i Mitanni, gli Assiri, gli Hittiti, i Babilonesi, gli Anatolici. L‘ agricoltura esisteva ormai da 5000 anni circa, si era già formato il gruppo sanguigno A, correlato agli agricoltori e sui monti Zagros, a nord dell’  Iraq, era stata rinvenuta una buona specie di frumento. Gerico, la prima città al mondo di una certa consistenza, risale al 9000 avanti Cristo. Le nostre zone erano paralizzate dal freddo. Ötzi, l’uomo del Similaun, trovato in val Senales, sopra Merano ed attualmente conservato a Bolzano, risale a 5200 anni fa: egli era perfettamente attrezzato per difendersi dai ghiacci, allora molto estesi.

Oltre che per evitare le paludi, i nostri antenati vivevano nella zona bianca perché la stessa era salubre ed aveva foreste di conifere e di latifoglie: gli animali selvatici (come i cervi eccetera) si nascondevano in tali boschi e costituivano la fonte primaria di alimentazione, oltre ai pesci dei fiumi. I pochi uomini che arrivavano dal Medio Oriente o dalle zone più calde, esperi agricoli,  non avevano grossi risultati con l’ agricoltura, in quanto il territorio disponibile era collinoso o montano.

In particolare, la Piave era abitata sino a Nervesa della Battaglia (Montello, vedi cartina del Veneto, 3500 anni prinma di Cristo) ), non più oltre in direzione del  mare, perché il fiume si perdeva negli acquitrini malarici che poi diverranno le Grave di Papadopoli,  San Donà di Piave e così via). Se osservate bene la cartina del 3500 avanti Cristo, vi renderete conto della sua enorme vastità. Mano a mano che il ghiaccio si scioglieva, il palù (termine per indicare zone paludose) diventava sempre peggio, sino a quando, dopo migliaia di anni, cominciò ad asciugarsi.

Cartina d’Europa del 1500 a.C.

Nel frattempo, un gruppo di norvegesi, svedesi, danesi, finlandesi, indoeuropei che erano arrivati nelle loro zone attorno al 7000 a.C. (partendo dalla zona a nord del Mar Caspio, vedi la cartina qui a sinistra, con la freccia viola) che si fanno chiamare Goti (ad esempio, città di Göteborg, o anche l’isola di Götland, in Isvezia), emigrano e vanno a finire, circa 5000 anni prima di Cristo, nella zona paludosa delle foci del Danubio, intorno al Mar Nero, zona segnata in rosso nella cartina. Il percorso è quello delle frecce rosse. Occupano le zone paludose libere, disabitate dagli altri indoeuropei che ormai occupano le zone bianche salubri dell’Europa. Attorno al Mar Nero e alle foci del Danubio, le zone erano veramente, seriamente paludose.

1500 anni prima di Cristo, una parte di questi goti dicono: “Perché non cerchiamo qualche altra zona, magari pure paludosa… ma un poco più  confortevole di questa, dove viviamo adesso? partono… vagano… (vedi freccia verde nella carta d’Europa del 1500 a.C.) in quelle che sono le attuali Polonia, Slovacchia, Austria… tutte abitate… e allora si fermano nelle zone paludose dell’ Adriatico del nord. Osserviamo che questi fatti sono successi 1500 anni prima  Cristo e quindi 750 anni prima che Romolo fondasse Roma.

Il Veneto, 1500 anni prima di Cristo.

Vorrebbero attraversare la Piave ma… non ce la fanno. Si fermano sulla sponda sinistra del fiume, il quale, nel 1500 avanti Cristo, è un poco migliorato: le paludi, un poco alla volta, si stanno prosciugando. Queste paludi, per loro, sono uno scherzo se confrontate con quelle del Mar Nero, dove abitavano prima.

La Piave è un fiume terribile: l’unico posto attraversabile senza lasciarci la pelle (ci riferiamo ad un popolo intero, con carri, donne, bambini, anziani) è la zona attualmente corrispondente a  Stabiuzzo, di fronte alle Grave di Papadopoli (segnata in rosso sulla cartina del Veneto di 1500 anni prima di Cristo). Comunque, nel punto più accessibile, la Piave è larga tre chilometri e mezzo… anche se non molto profonda in questo punto. La può attraversare un giovanotto ma non certo una popolazione od un esercito. Così, si fermarono definitivamente. Come si chiameranno? saranno, in seguito, chiamati Veneti, ‘coloro che sono arrivati… da lontano…’ ( dal latino veni, venire).

Gli altri goti resisteranno alle foci del Danubio per altri duemila anni, poi, nel 500 dopo Cristo, si stancheranno delle paludi e si dissemineranno in tutta l’ Europa (vedi le frecce azzurre nella cartina d’Europa di 1500 anni prima di Cristo).

Facciamo una parentesi linguistica.

I goti (ed i veneti) usavano uno strano alfabeto: l’alfabeto runico. Tutto aste e circoletti.

 Si chiama fuþark, che si legge futhark, dove la terza lettera runica è un circoletto con una barra verticale posta sulla sinistra, þ  ,che è la th dei goti e dei veneti, degli inglesi eccetera.

Dice Gerard Rohlfs, un professore tedesco mostruoso per preparazione (vedi bibliografia):

Ogni popolazione ha le sue strutture sillabiche che durano millenni e che difficilmente elimina. Può prendere in prestito parole straniere ma queste vengono adattate alle sue strutture sillabiche… omissis… nessuna struttura sillabica scivola verso il th dei goti, mentre il th può scivolare, in altre popolazioni, verso la t, la d, la s, la z e così via. Dove c’è il th, ovvero  þ oppure ancora la ð (vedi qui sotto) ci sono le popolazioni originali, le popolazioni più antiche.

Il latino ha ciliegia: nella Sinistra Piave, le popolazioni usano ciliegia ma lo trasformano in una parola con la th iniziale e dicono tharèsa o come scriviamo noi in questo blog, θarèsa, dove il segno iniziale equivale a th, ovvero alla lettera runica  þ.

Vale quindi la regola:

dal latino alla Sinistra Piave: C dolce dei dei latini (ci) > Th dei veneti goti (slavi?): adottiamo pure una parola latina ma se questa dovesse contenere il suono ‘ci’ dolce, noi lo trasformeremo in þ, o th o θ che scriver si voglia.

Pertanto, il dialetto della Sinistra Piave è il più antico perché nessun’ altra struttura sillabica viene mai trasformata in th.  Lo stesso dicasi per la ð (vedi sotto). Ad esempio, anche i padovani usano il termine ‘ciliegia’ ma dicono sarésa.

Facciamo notare che in latino antico la lettera c suonava k. Tale uso non è ancora scomparso del tutto, ad esempio in Sicilia: alcuni siciliani dicono sikilia, sikiliano, per ciliegia dicono kiliegia. La c che suonava k fu fatta suonare come suona ora dal latino della chiesa e dall’ evoluzione tardo-romana, dal periodo di Costantino I° il Grande (IV° secolo) in poi..

Un altro segno, secondo Benveniste (vedi sempre la bibliografia), che identifica le popolazioni gote (veneti della Sinistra Piave, tedeschi, inglesi, danesi eccetera) è la d fricativa dentale sonora che noi scriviamo con ð e che si trova nell’inglese the, those, that, mother, they, there. (La th runica, in inglese, ovvero fricativa dentale sorda, si trova in thing, thank, tooth, path, youth)

Piccola tabella:

Italiano                        Veneto sinistra Piave

Andare in cerca         ‘nàr in tràθa

Straccio                           stràθa   

Catena                             caðéna 

Ginocchio                       ðènòcio 

Come vedete, i goti-slavi della Sinistra Piave hanno adottato parole latine ma hanno preservato, come dice il Rohlfs, le strutture sillabiche originali gotiche, di migliaia di anni fa.

Ad esempio, ancora, i veneti della Sinistra Piave, goticamente parlando, provano orrore per le vocali iniziali se non siano contemporaneamente accentate. Aristide non ha l’ accento sulla A iniziale e pertanto la A sarà eliminata e risulterà ‘Ristide. Acciaio ha l’accento sulla seconda a: pertanto, la prima A rimane, tuttavia, c’è la c dolce… il risultato è che ‘acciaio’, nella sinistra gotica della Piave, si dice ‘aθàl’… che potete scrivere anche ‘aþàl’ se usate il segno runico oppure ancora ‘athàl’.

Anche la z dolce diventa th: Zucca > θùca > Thùca > þùca

Cacciavite > Caθavìde eccetera.

Quest’ultima regola non è, comunque, assoluta.

Fine della parentesi linguistica.

Riprendiamo con la storia. La Piave ha avuto quindi, da lungo tempo, un tipo di popolazione su una sponda e un altro tipo di popolazione  sull’altra.

Veneto, 500 anni dopo Cristo.

Il fiume è essenzialmente una barriera, oltre che fonte di vita.

Gli abitanti della provincia di Treviso, della destra Piave, erano quindi non di origini gotiche ma di origini celtiche, galliche, etrusche e così via. Ci furono degli afflussi dall’Italia meridionale, originarî della Grecia. I paleoveneti sono della destra Piave e non vanno confusi con i veneti goti-slavi. Stiamo parlando di parecchio tempo fa, naturalmente. Vivevano sulla destra della Piave e nei reperti archeologici si trovano cose diverse da quelle della Sinistra Piave e non ci sono rune. Ripetiamo: questo per i reperti relativamente antichi. I romani, che sono i romani, non riuscirono mai a fare un ponte definitivo sulla Piave.

Straordinario è il caso della strada romana Postumia, del 148 a.C., che partiva da Genova, per andare a Tortona, Piacenza, Cremona, Verona, Vicenza, poi tutto un rettilineo sino a… la Piave… prima ed unica interruzione a Roncadelle, poi riprende il rettilineo, Oderzo, Annone (ad nonum lapidem, sulla nona pietra miliare posta sulla via Postumia), Concordia Sagittaria, Aquileia. L’ unica interruzione di tutta la sconfinata via Postumia, da Genova ad Aquileia e poi verso l’ Istria, è a Stabiuzzo, sulla Piave! Qui, si doveva guadare… ponti dappertutto ma non a Stabiuzzo, nell’ attuale comune di Ormelle.

I ponti sulla Piave hanno al massimo un secolo e mezzo. Attila, per non affrontare la Piave, la prima volta seguì il percorso a nord delle Alpi e poi, arrivato vicino a Como, si gettò verso sud, verso Milano e da lì tornò indietro sino a Vicenza, circa.

La seconda volta, Attila volle invece tentare la traversata della Piave ma… mal gliene incolse. Non ci riuscì, sfogò la sua ira sulle ultime cittadine della Sinistra Piave (segnatamente Opitergium) e nemmeno, subito dopo con un terzo tentativo, riuscì ad  attraversare le paludi verso la laguna di Venezia (si fermò infatti a Torcello), che nel V° secolo erano ancora un ostacolo formidabile, fonte di disperazione anche per i longobardi, franchi ed ungari. I bizantini, invece, erano più in confidenza con le paludi in quanto ne avevano avuto esperienza  con la zona di Ravenna. Per loro, le paludi non erano un grossissimo problema. Ciò fu utile ai bizantini per ritardare l’ egemonia dei popoli del nord.

Cercate ‘ronchi’ nella carte geografiche. La parola è di matrice celtica ma i romani la usavano per indicare un campo base prima del guado, in mancanza di ponti.

Roncade sul Sile.

Roncadelle sulla Piave, attaccata al guado di Stabiuzzo.

Ronchi dei Legionari (romani…), al di qua della barriera costituita dall’ Isonzo e dal Timavo.

Ronciglione (Ronciò in dialetto locale) sulla via Francigena, vicino alle acque del lago di Vico, a 55 k. da Roma)

Ronco (Forlì).

Ronco all’A  dige (Verona).

Ronco canavese (città Metropolitana Torino) sul fiume della val Soana.

Ronco briantino (Brianza).

Ronco biellese (Biella).

Ronco Scrivia (fiume omonimo).

Roncadelle (Brescia), fiume Mella.

Roncadelle (Citta metropolitana Palermo).

Senza contare tutti gli altri esempi con Ronche, Ronca, Roncà…

Questo lungo elenco dimostra che il problema non era da poco.

Osservazioni.

Quando diciamo  che nessuno riuscì mai  ad attraversare la Piave, intendiamo riferirci ad eserciti e popolazioni e questo fu vero sino a 170 anni fa,  quando vi furono dei ponti moderni sul fiume,  costruiti con ferro o calcestruzzo. I singoli sono sempre riusciti a passare, se dotati di energie sufficienti. Poche migliaia di Veneti Goti sono vissuti quindi nella destra Piave e viceversa. Oggi, ovviamente, coi ponti moderni non è più così.

Nonostante il fatto che  a Calalzo ci sia la diga sulla Piave, per regolare le acque, il fiume è sempre pericolosissimo e nel 1966 i fatti confermarono questa tesi.

La Prima Guerra Mondiale vide i tedeschi e gli austro-ungarici bloccati sulla Piave, coi ponti scomparsi, in quanto fatti saltare dall’ esercito italiano.

Il generale Cadorna, ligure, fu ritenuto responsabile del disastro di Caporetto e nel 1917 fu rimpiazzato da un generale napoletano, Armando Diaz.  Mentre Cadorna non ascoltava nessuno,  Diaz fece tesoro di ciò che gli dissero gli storici veneziani, gli ingegneri  veneti, i graduati veneti dell’ esercito, il genio militare ed i geografi. … nonché i meteorologi… visto che la Piave non l’ aveva mai passata nessuno, Diaz fece saltare tutto ciò che, sulla Piave, non era ancora stato fatto saltare. Fu nominato la sera dell’8 novembre 1917 e poté constatare, di persona, la forza inaudita delle acque (novembre è il mese peggiore per la Piave, per ragioni abbondantemente esposte in altri articoli su questo sito) prevista dai meteorologi. Ponti saltati, Piave in piena (come spesso succede a Novembre) e tedeschi subito bloccati: l’esercito italiano rimase stupito di ciò che può fare la Piave e Diaz fu considerato un mago, quando invece scelse il momento opportuno in cui la Piave fa paura: ciò indusse l’esercito a credere di nuovo nella vittoria, dopo la cocente umiliazione di Caporetto. Dopo un anno di  battaglie sul Piave, l’esercito tedesco ed austro-ungherese, ormai allo stremo e senza viveri,  si rese conto che la Piave non sarebbe mai stata superata. Molte volte le teste di ponte tedesche sulla riva destra furono distrutte dagli italiani e quando gli italiani non ci riuscirono, le acque della Piave fecero il resto.  Nella seconda guerra mondiale, ovviamente, l’evoluzione tecnologica ha fatto sì che ostacoli come la Piave non siano più tali. Nel 1922, Gabriele d’ Annunzio disse che la Piave era come un militare eroico e NON poteva essere LA PIAVE, al femminile, bensì IL PIAVE, al maschile. La Piave cambiò sesso…

Ci sembra che sia importante far notare, nella cartina del Veneto del 500 dopo Cristo, quali fossero precedentemente i tratti finali del Brenta e della Piave. I percorsi precedenti sono quelli in rosso ed impaludavano la laguna di Venezia, immettendovi le loro acque. La Repubblica di Venezia li deviò entrambi all’ esterno della laguna..

Ci sono popolazioni che nel loro girovagare, hanno impiegato decenni per attraversare un fiume.  Leggendo i libri di storia si trovano molti esempi. Cosa aspettavano, in riva al fiume? Aspettavano una siccità. Prima di decidersi di fare altri tentativi altrove, era meglio aspettare.

Riportiamo ora alcune scritte poste sulle illustrazioni, se per caso non riusciste a vederle bene.

Cartina del Veneto, 1500 anni prima di Cristo.

… Le grave di Papadopoli non sono profonde ma l’ attraversamento minimo è di 3.5 km. La traversata si effettua partendo da Stabiuzzo, stazione di posta romana (Stabulum, stazio), attualmente una località nella frazione di Roncadelle del Comune di Ormelle (TV)

Cartina del Veneto, 500 anni dopo Cristo.

…i romani non riuscirono mai a fare un ponte duraturo sulla Piave. Attila, proveniente da est, non riuscì mai ad attraversare la Piave.

… gli unni nel 451 – 452 non riuscirono ad attraversare la Piave. Tornarono in Austria e fecero il giro delle Alpi per arrivare a Milano ed invadere l’Italia.

… fino a questo periodo ed oltre, la Piave ed il Brenta erano quelli rossi e versavano nella laguna di Venezia. Poi furono deviati.

Palude.

Le due zone paludose del delta del PO (Comacchio) e del Danubio sono tra le sette zone paludose più importanti d’Europa, quattro delle quali sono in Italia: in Italia, oltre alle Valli di Comacchio, abbiamo il Parco o Palude di Colfiorito (Perugia), il Padule di Fucecchio (tra le provincie di Firenze, Prato, Pistoia, Lucca e Pisa, oltre 2000 ettari, la più grande d’Italia) e le Torbiere del Sebino (Brescia).

Esiste, tra i comuni di Ormelle ed Oderzo, una piccola frazione che si chiama Santa Maria del Palù. Esiste a Verona un comune col nome Palù e ce ne sono molti altri, tutti di antica denominazione. Parecchie sono le aree che erano ghiacciate, migliaia di anni fa e che poi sono diventate paludose.

Palù è un plurale collettivo. Recentemente, c’è stata una lunga disputa con gli ambientalisti per l’autostrada A28 (Sacile – Conegliano), a causa delle zone paludose tra il fiume Livenza ed il fiume Monticano, nei comuni di San Vendemiano, San Fior, Codogné, Godega di Sant’Urbano, Orsago e Sacile.

Abbiamo poi il Palughetto del Cansiglio e il Palù di Cordignano.

Divertitevi a cercare. Tutte queste zone sono antichissime e probabilmente ancora incontaminate, benché semplici.

Ciao.

 

 

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