Falce e Rastrello [926]

FalceRastrellio
La storia dei quattro braccianti.

Revisione del testo: 9 settembre 2021 ore 19:20 – Revisione immagini: 8 settembre 2021 – Siamo nel Polesine: Adriano, Bruno, Carlo e Dario sono nullatenenti e fanno i braccianti nei terreni di Vittorio e Zaccaria, due contadini che lavorano dalla mattina alla sera.

Vittorio e Zaccaria, forse non avrebbero bisogno di lavorare così tanto ma il futuro è il futuro e non si sa mai cosa ti possa riservare. Hanno entrambi famiglia e le famiglie, si sa, sono molto costose.

Anche Adriano, Bruno, Carlo e Dario, i braccianti, hanno famiglia e le loro condizioni di vita non sono molto buone, tuttavia, i 4 braccianti dicono: “Non siamo stati fortunati come Vittorio e Zaccaria… certo che abbiamo un poco di invidia… ci sembra umano…”

Al sabato, Adriano si vede in piazza del Paese con gli altri tre braccianti e dice: “Tósi, égnia mìna da ‘nàre a zugàrse ‘na ómbra…[Ragazzi, che non sia il caso di andare a giocarci un bicchiere di vino…]

E così, invece di arrotondare quei pochi soldi che prendono, magari andando a lavorare in qualche giardino padronale, vanno all’osteria per farsi una partita alle carte. Agli eventuali interlocutori, rispondono che non resta loro altra scelta che farsi una partita al Tressette: tanto, poveri braccianti sono e poveri braccianti resteranno.

Un sabato, in osteria, mentre giocano a carte, si presenta un certo Ferranti, esponente di un partito che si dice costituisca una grande novità. Egli dice: “Voi quattro non avete un centimetro quadrato di terra e siete destinati a rimanere dei poveracci per tutta la vita. Ma la colpa non è vostra! la colpa è del sistema! il mio partito, cioè il Partito Comunista Italiano, è dell’idea che gli uomini siano tutti uguali: stessi doveri per tutti ma anche stessi diritti… altrimenti, la proprietà terriera sarebbe un furto storico… nel Polesine ci sarà una grossa bonifica e con l’occasione ci saranno degli esproprî di terreni e la riassegnazione dei terreni stessi. Se, nel Polesine, il PCI prenderà dei voti, ci daremo da fare per riassegnare i terreni, bonificati o meno, dando ovviamente la precedenza agli iscritti al nostro partito.

Così parlò Zarathuštra (pardon, Ferranti). Ci fu un attimo di pausa e, subito dopo, Bruno disse, rivolto agli altri tre, mentre Ferranti stava a sentire: “Gavìu sentìo, tósi… égnia mìna da catàre calcòssa de mèio… e mi… mi pensaràe de firmàre suìto… sa’ disìu… [Avete sentito, ragazzi… dobbiamo forse aspettare di trovare qualcosa di migliore? io… io penserei di firmare subito… cosa ne dite…].

Adriano, Carlo e Dario dissero: “Furto storico! puito… puito…[Furto storico! bene… bene…].

Ferranti estrasse 4 moduli in bianco da una borsa, raccolse le generalità e fece firmare ai quattro compari la domanda d’ iscrizione, per due anni almeno. Consegnò le quattro tessere attestanti l’iscrizione al partito e i nostri quattro eroi versarono immediatamente tre mesi di iscrizione abbastanza salata (il resto sarebbe stato versato successivamente, in comode rate trimestrali). Ferranti accettò un bicchiere di rosso e via. Dopo un anno, il PCI era una minoranza quasi maggioranza. Le autorità, come anticipato da Ferranti, procedettero alla confisca delle terre da bonificare. Con l’occasione, furono anche redistribuite e razionalizzate tutte le terre di proprietà. Vittorio e Zaccaria persero una buona metà dei terreni coltivati ma ricevettero, in cambio, un’area molto più grande di terreni fertilissimi appena bonificati. I quattro braccianti ricevettero le terre espropriate a Vittorio e Zaccaria, più molta altra terra bonificata. Alla fine della redistribuzione, tutti e sei (i quattro braccianti e i due contadini) avevano esattamente, ognuno di essi, la stessa superfice di terra.

Vittorio e Zaccaria continuarono a lavorare come prima. I quattro braccianti, ora non più braccianti ma novelli proprietarî, lavorarono le proprie terre e Vittorio e Zaccaria si trovarono dei nuovi braccianti. Vittorio e Zaccaria lavoravano anche al sabato e alla domenica, perché avevano le stalle con i bovini e le mucche devono essere munte ogni giorno.

I quattro ex braccianti, ora, avevano prospettive diverse: mentre prima giocavano a carte perché non avevano altro da fare, ora giocavano a carte al sabato e alla domenica perché ritenevano di poterselo permettere: con tutta quella terra… erano cambiate le motivazioni ma la poca voglia di far bene era rimasta…

Per non avere l’obbligo di lavorare anche al sabato e alla domenica, rinunciarono a tenere le stalle coi bovini. Le mogli dicevano che le stalle coi bovini sarebbero potute servire per mandare i figli alle superiori e poi alle università ma i quattro ex braccianti decisero, per far studiare i figli, di vendere a Vittorio e Zaccaria una piccola parte delle loro novelle proprietà. Altra terra vendettero per fare delle ferie, che non avevano mai fatto nella loro vita.

Oltre a quanto detto, Vittorio e Zaccaria tenevano, nella primavera inoltrata, dei bachi da seta, arrotondando così ulteriormente le loro entrate ma i quattro ex braccianti pensarono che la terra fosse tantissima e che non valesse la pena di fare tanta fatica… e preferirono non occuparsi dei bachi da seta.

“Tósi, égnia mìna da varnàre cavalièri…” [Ragazzi, dovremmo dar da mangiare ai bachi da seta…]

“Sa dìsito… ànca cavalièri… ma ‘lóra la vita deventaràe un gnàro de bèspe…” [Ma cosa dici mai… anche i bachi da seta… ma allora la vita diventerebbe un nido di vespe…]

Il nostro lettore, novello baco da seta, avrà mangiato la foglia… e ci potrebbe chiedere l’esito della storia, anche se lo avrà già immaginato…

Dopo una quindicina d’anni, Adriano, Bruno, Carlo e Dario, di nuovo nullatenenti, ripresero a fare i braccianti per Vittorio e Zaccaria, i quali un poco alla volta, si erano ricomperati tutto, comprese le aree bonificate.

Non vi parlo dell’invidia, che alla luce dei fatti non poteva aver più alcuna attenuante…

Sicut erat in principio et nunc et semper et in saecula saeculorum. Amen. [Così era al principio e così sarà ora e per sempre e nei secoli dei secoli].

Restarono, comunque,  iscritti al partito di sinistra, dove l’invidia è di casa.

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