Le vere Cicala e Formica [516]

CicalaFormica
La Cicala a sinistra e la Formica (Sofia Vergara) a destra.

Revisione del 15 orrobre 2020 – Vi racconto prima la storia della Cicala e della Formica, così come l’ha raccontata Jean de La Fontaine. Benché la struttura del testo sia la stessa, l’ho completamente rivista, per renderla più moderna e meno ‘francesizzante’ come poesiola.

Gli accenti sono stati posti per il ritmo dei versi:

La Cicala, che imprudénte
tutt’estàte al sol cantò,
provvedùta... di un bel niénte,
nell'invèrno si trovò: niente avéva,
né in cantìna, né in cambùsa,
né in cucìna, proprio niénte da mangiàr.
Che fa allór,  la nostra amìca?
Disperàta e vergognósa,
la Formica va a trovàr
e la supplica, la implòra,
di donàrle qualche còsa,
qualche còsa da mangiàre,
per potére, in qualche mòdo
il gran fréddo superàre:
prometténdo, per agósto,
con l’impégno più formàle,
di ridàrle tutto indiétro:
l’’interèsse e il  capitàle.
La Formìca, che ha il difètto
di prestàr malvolentiéri,
le domànda chiaro e nètto:
‘Cos’hai fàtto fino a iéri?’
‘Veraménte, mi paréva
giùsto méttermi a cantàre…’
La Formìca disse: ‘Bràva...
ed invece, ora vorrésti quàlche còsa da mangiàre?
segui il detto che si usava:
se,  d’Estàte, hai ben cantàto,
bén puoi métterti a ballàre.’’

Debbonsi qui apporre serissime considerazioni, per sfatare molti luoghi comuni sulla cicala, non a mo’ di giustificazione, in un’epoca in cui impera peraltro il politically correct ma per un obiettivo obbiettivamente obbiettivo: dare a Cesare quel ch’è di Cesare e dare alla cicala quel che probabilmente è della formica, direbbe qualche linguaccia…

In buona sostanza, c’è l’irresolubile problema dell’età della nostra simpatica cicala: costei non può avere, quando si esibisce canoramente (per inciso, non è un canto ma uno sfregamento delle zampette contro l’addome) che quattordici anni oppure diciassette anni di età.

“E perché mai?” Dirà il lettore che mai ritenne opportuno approfondire tali quisquilie.

Perché esistono due tipi di cicale. Un tipo di cicala fa le uova e poi le larve vivono sotto terra per quattordici anni. Al quattordicesimo anno, le larve si trasformano negli animali che conosciamo, vanno sugli alberi, cantano, si accoppiano, fanno le uova e muoiono. Vivono all’aria e al sole  per una sola estate.

L’altro tipo di cicala fa esattamente le stesse cose ma rimane sotto terra per ben diciassette anni. Naturalmente, le cicale diciassettenni hanno già un fascino femminile superiore a quello delle quattordicenni e usano le loro arti muliebri molto più avvedutamente e disinvoltamente. Inoltre, ed ecco la lancia spezzata a loro favore, quattordici e diciassette anni non sono delle età molto mature, quindi potremmo suggerire un minimo di indulgenza ed anche questo suggerimento è da annoverare tra le cose politically correct.

L’educazione della Cicala non era stata una educazione molto religiosa. La Cicala, come molte donne orientali, era stata allevata per essere più piacevole possibile, più femmina possibile e lo scopo è chiaro. Difficilmente le cicale educate in tal modo e che si sposano subiscono l’affronto delle corna da parte del compagno: egli non ha bisogno di ulteriori distrazioni perché lei è capace di affascinarlo fino in fondo.

Ci sono, naturalmente, quelli mai contenti, i quali sosterrebbero come il cambiamento periodico di pasto sarebbe comunque talvolta necessario ma sono individui da dimenticare perché non amano loro stessi e quindi nessun amore riempirà mai il vuoto di una persona che non ama sé stessa.

Insomma, l’educazione femminile molto poco femminile è una piaga che affligge, non le femmine, bensì il sesso maschile, per lo meno nell’ ambiente italiano, tradizionalmente cattolico.

D’altronde, a mio avviso, quest’educazione favorisce indubbiamente il maritaggio delle brutte: avere infatti nella propria alcova una bella donna educata ad essere un ghiacciolo è paradossale ed abbastanza controproducente, da indurre talvolta a preferire una brutta, così almeno nel talamo coniugale passa la voglia di ordire qualcosa e… non ci si pensa più.

La Formica invece era stata educata in modo completamente diverso e non serve spiegarvi come perché tutti i cattolici che leggono lo sanno perfettamente.

Insomma, a causa dell’educazione ricevuta, la Formica faceva la sarta assieme alla madre, benché la Formica fosse molto, ma molto, ma molto più bella ed intelligente della Cicala.

Benché desse a vedere che le si confacevano morigeratezza e serietà di costumi, la Formica era pur sempre una donna ed invidiava ferocemente la Cicala che, ben meno avvenente di lei, aveva borsette, scarpette, vestitini, gioielli, gioiellini, nonché bigiotteria e quant’altro per piacere agli uomini cicali, i quali tutto ciò le regalavano. La Formica, con l’educazione ricevuta, tutto sommato, si era rovinata il piacere del piacere della vita ed aveva cominciato a nutrire anche un certo astio per chi l’aveva siffattamente educata.

Quando, poi, la Cicala veniva a provarsi i vestitini e lei li doveva fare perché la madre diceva che la Cicala era una buona cliente (anche se non si sapeva da dove venissero i quattrini) e che loro erano sarte, la Formica era indispettita per la faccia tosta con la quale la Cicala si presentava, senza dar da vedere alla Cicala che aveva capito che… che forse qualcuno avrebbe avuto ben donde nel dubitare della sua serietà. Ma tant’è: la Cicala era stata educata in altri modi.

Cicala: “Ciaòóòó, Fòrmy… mi sembri molto bene, come va? Se quel vestitino col tessuto a stampe rappresentante un quadro di Gauguin fosse pronto, bontà tua, potrei immediatamente raggiungere i miei amici a Parigi, bisogna andarci ben vestite e tu hai delle mani d’oro…  à la guèrre comme à la guèrre… (quando si va in battaglia, ci si deve andare seriamente, ben preparati). Comunque, bisogna dire che sei molto carina, un giorno porterò anche te, à Paris…

Formica, sommessamente e con un certo astio: “Vàrda, càra, no go pròpio bisògno che ti me pòrti da nessùna pàrte, sa… se vògio, so bóna de rangiàrme… [Guarda, cara, non ho proprio bisogno che tu mi porti da qualche parte, sai, se voglio, sono capacissima di arrangiarmi]

Cicala: “Hony soit qui mal y pense… pardon…   non volevo certamente urtare la tua suscettibilità. Ma tornando al Gauguin: è per caso pronto?» [Ordine della Giarrettiera: sia vituperato chi ne pensa male]

Formica madre, rivolta alla figlia: “Formy, dìme, che vorìa savér ‘nca mi: còssa gàła dito del màl de pànsa?[Dimmi, ché vorrei sapere anch’io: cos’ha detto del mal di pancia?]

Formica figlia alla madre: “Gnénte, màma, gnénte, mòdi de dir de Frànza…” [Niente mamma, modi di dire di Francia…]

Rivolta alla Cicala: “Co’l sarà prónto, no’l sarà prónto par càso. Domàn te dàgo el vestìto.[Quando sarà pronto, non sarà pronto per caso. Domani ti darò il vestito.]

La Cicala capisce che non tira aria buona e fa per accomiatarsi, quando la Formica figlia si alza, si mette vicino alla Cicala, espone il proprio fisico, come dire: “Non vedi che ti batto sei a zero?” e dice con tono tagliente: “E alóra, se gò ben capìo, ti va a Parigi…” [Allora, se ho ben capito, vai a Parigi]

Cicala, improvvisamente attenta: “Mais oui, mais oui, ma chère…” [Ma sì, ma sì, mia cara…]

Formica figlia: “Gavarìa bisògno de un gràn piassér: se par càso, dìgo par càso, sa, ti dovéssi incontràr La Fontaine…” [Avrei bisogno di un gran piacere: se per caso, sappi che ho detto per caso, tu dovessi incontrare La Fontaine…]

Cicala: “Oui, bien sûr, ma chère, Jean de La Fontaine… » [Sì, certamente, mia cara, Jean de La Fontaine]

Formica figlia : “Se ti ło tróvi, dìghe che par mi el pól ‘ndàr ànca a reméngo sùo…[Se lo trovi, digli che per me  può anche andare a quel paese…]

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