15 uova, 15 lire all’una [26]

50lireuova
Moneta da 50 lire degli anni 1960.

Revisione testi: 4 marzo 2021 – Parliamo di un mondo che ormai non esiste più ma ci sono alcune cose che possono servirci ancora, se non altro come conoscenza. Vi parlo del mondo di mia nonna, nata nel 1888 († 1967) e che nella sua infanzia aveva sentito dire cose mirabolanti dell’Impero Austro-Ungarico, finito nel 1866.

Alcune cose sono quelle che riguardano l’istruzione: suo padre e sua madre avevano fatto la quinta elementare obbligatoria sotto Cecco Beppe (Francesco Giuseppe I d’Austria) e lei invece, sotto l’Italia, solo la quarta. Dato che me lo ripeteva ogni secondo giorno, per lei doveva essere stata una cosa molto importante. Anche la sanità era peggiorata: nel paese c’erano prima due medici, una ostetrica e un veterinario e con l’Italia, invece, un medico per il paese e un veterinario che doveva operare in tre comuni. Il sistema fiscale era meno aggressivo sotto Cecco Beppe, anche se le pene per gli evasori erano severissime. Il contadino andava dal Procuratore Austro-Ungarico, il quale, se constatava che il raccolto non era andato bene, aveva l’autorità di diminuire le tasse. Con l’arrivo dei Savoia, bisognava pagare, sempre e comunque. Inoltre, essendo l’Impero un crogiolo di popolazioni, non c’era alcun razzismo e gli abitanti si sentivano a loro agio. Con l’arrivo dell’Italia nel 1866, gli abitanti non si sentirono più a casa propria: si sentirono colonizzati e notoriamente le popolazioni stesse dovettero in gran parte emigrare, principalmente ‘te’łe Mèriche’, cioè nell’America del Sud, soprattutto in Argentina, dove alcuni fecero veramente fortuna, mentre la maggior parte è ancora là…

I problemi conseguenti alla prepotenza usata contro le genti venete e contro le genti del Tirolo Italiano (il Trentino) non erano mai sorti prima, piaccia o no, sotto l’Impero Austro-Ungarico e a proposito di questo dobbiamo ricordare anche le innumerevoli manifestazioni del Friùli e della Venezia Giulia a favore dell’Austria. Non ci fu referendum o plebiscito per i trentini: Alcide De Gasperi, allora giovane parlamentare a Vienna, dichiarò nel 1914 che oltre il 95% dei trentini avrebbe optato per l’Impero Asburgico: pertanto, meglio evitare di far finta di fare il plebiscito. Nel 1866 ci fu invece il plebiscito per il Veneto ma sappiamo come andò. Cesare Battisti, secondo gli alto-atesini e i trentini è un’invenzione italiana, nel senso che in Trentino – Alto Adige è considerato tutto tranne che un eroe.

Insomma, nei filò si parlava dei buoni tempi andati e il vero nodo erano coloro che erano stati obbligati ad emigrare negli anni successivi al 1870. I confronti erano sistematici e quello che successe poi coll’  avvento del fascismo fu una disperazione. Mio nonno materno, Ernesto Carniel, originario del Friùli (il cognome designa la  sua origine carnica), aveva una doppia attività: avendo fatto delle scuole tecniche, costruiva campanili sotto la sorveglianza di architetti ed ingegneri ma soprattutto installava le campane, le croci e i parafulmini sui campanili stessi. Il grosso del suo lavoro era la manutenzione di tutti i campanili in provincia di Treviso, Udine, Venezia, Padova e Vicenza. Aveva organizzato il lavoro in modo che i suoi dieci operai fossero in parte compartecipi alla piccola impresa. Siccome fu ferito a Caporetto (scheggia in un polmone, non operabile), rallentò nel dopoguerra la prima attività e sviluppò un’orchestrina sempre coi suoi operai, dove tutti assieme suonavano nelle feste da ballo, il sabato e la domenica, nei paesini viciniori. Si sposò nel primo dopo guerra quando mia nonna aveva 29 anni. Mio nonno aveva la tessera socialista e mia nonna dice che parlava molto bene di Mussolini, allora direttore dell’Avanti, quotidiano per l’appunto  socialista. Dopo la Marcia su Roma, mio nonno si sentì tradito e sviluppò la più grande antipatia per il nuovo duce.  Si rifiutò, dal 1922, di suonare nelle feste da ballo dei fascisti e questo gli fece subire due razioni di manganellate e due razioni di olio di ricino. Mia nonna aveva appena messo al mondo, nel 1921, la sua terza figlia, cioè mia madre.

Nonna
Genoveffa Oreda vedova Carniel, foto del 1962, quando aveva 73 anni.

Mio nonno si trovò senza lavoro: non gli lasciavano più fare manutenzioni di campanili e allora decise di andare in Argentina, nei sotterranei della Liebig, come capo magazziniere delle carni per i dadi da brodo. Lasciò provvisoriamente mia nonna con le tre bambine, in attesa di chiamarle in Argentina ma… col freddo delle celle frigorifere si prese una polmonite e la scheggia improvvisamente si rimise in moto, uccidendolo. Mia nonna si trovò sola, nella più bella casa del paese, con tre bambine piccolissime. Dovette vendere la casa, mandare la più grandicella in collegio e darsi da fare in filanda come operaia. Con un passato del genere, non ho mai visto mia nonna sorridere eccessivamente. Aveva delle capacità taumaturgiche innate e io, sin da quando ero piccolo, ho sempre assistito alle fila di popolane che venivano a trovarla con polli, galline, uova, mezzi salami, cotechini, focacce, formaggio e così via. C’era chi aveva una ferita lacera e allora mia nonna applicava un decotto con l’erba di San Giovanni (hypericum perfoliatum) oppure aveva preso una botta sull’arcata orbitale o altrove e allora usava un impiastro giallo di Arnica (àrnica montana) oppure ancora aveva una botta ad uno stinco con rigonfiamenti e allora usava un miscuglio di olio e foglie di sàlice bollite (acido acetilsalicilico?) oppure per i colpi di freddo agli orecchi usava l’acònito (aconitum napellus), che lei chiamava ranùncolo velenoso e che in pianura non si trovava. Mentre le altre erbe le raccoglieva lei, l’acònito lo portava dalla montagna la cadorìna, una sua conoscente che veniva ogni tanto giù dal Cadore per vendere piccoli oggetti di legno, come taglieri, mestoli e cucchiai, nonché uova di legno svitabili a metà, per custodirvi gli aghi e riparare le calze e i calzini; inoltre, la cadorina vendeva ciabatte, presine e altri oggetti di tela. L’acònito costava carissimo e mia nonna poi brontolava per una settimana. Inoltre aveva un dono: vedeva i traumi o le contratture dei suoi pazienti: diceva di vedere come un colore verde. Se le chiedevo di spiegarmi meglio, rispondeva che l’Italia le aveva fatto fare solo le quattro elementari e non c’era verso di farle dire altro. Non voleva astrazioni di sorta: per fare un esempio, non potevi chiederle quanto faceva 15 per 15 perché ti avrebbe risposto male. Dato che con le uova portate dalle contadine si faceva baratto, mi mandava alla bottega con (per restare nell’esempio) 15 uova che avevano un valore di 15 lire l’una. Io comperavo alla bottega il necessario e pagavo in uova. Una volta, volli sapere se veramente non sapesse far di conto: mi sembrava troppo abile con gli impiastri e i decotti e con le loro dosi perché non sapesse calcolare. Così dissi: “Nonna, ho speso dieci lire di questo… cinque di quello…” e così via sino a totalizzare 220 lire. Lei aveva già fatto il conto perché mi chiese: “E il resto? Dov’è il resto? Insomma, quanto hai speso?” “Quindici uova…” Al che, lei: “Sciocco, ti sei fatto rubare 5 lire! in realtà hai speso 220 lire e ne hai pagate 225!” Questo significa che in una frazione di secondo aveva fatto 15 per 15: ma questa volta c’erano di mezzo la vita, le cose concrete e non era un’astrazione, come prima. Prima di dire che gli anziani non sapevano far di conto, dobbiamo rifletterci un momento.

Per darvi un’idea del mondo nel quale vivevano gli anziani, mia nonna riusciva a guardare la televisione solo quando c’era il telegiornale con un signore simpaticissimo con le orecchie a sventola (Riccardo Paladini), perché lo vedeva “gràndo giùst[di grandezza giusta, inquadrato a mezzo busto] se invece si vedevano campi lunghi o piani americani, non riusciva a guardare la tv perché le veniva una forte nausea. “Còssa éi ‘sti omenéti picenìni…[Cosa sono questi ometti piccolini…]

La prima volta che venne a Venezia, dai balconi che davano sulla Riva degli Schiavoni, diceva tra sé: “Tutto cielo e mare… solo cielo e mare… niente erba… alberi…”

Mia nonna aveva una RadioMarelli meravigliosa, delle prime, in mogano e ascoltava sempre Radio Capo d’Istria a mezzogiorno e Radiosera alle 19:30. Voi direte: “Nulla di strano…” Lo credevo anch’ io, sino a quando non sono arrivato da Venezia con la mia prima radiolina Sony a sei transistors e a batteria.

Succede che lascio la radiolina accesa sul tavolo della cucina e me ne vado a salutare gli amici per una buona mezz’ ora. Quando ritorno, la trovo stravolta, con la pipa in bocca, seduta davanti alla radiolina: la fissa con occhio incredulo e sospettoso, non ha coraggio di toccarla, di avvicinarsi…

“Nonna, cosa succede?” No la ha un spago, no la ha gnént…come fàła…[Non ha uno spago, non ha niente… chissà come fa…]

Morale: per anni mia nonna aveva pensato che il filo della corrente della RadioMarelli fosse il tramite delle sonorità. Questa sua certezza era stata distrutta dalla radio a batteria che, senza spago, riceveva le notizie lo stesso… nel suo mondo, non c’era bisogno di onde radio elettro-magnetiche: lo spago che portava la ‘luce’ [corrente elettrica] doveva per forza portare anche le notizie.

Eravamo nei primi anni ’60, i russi avevano mandato in orbita nel 1957 la cagnetta Laika e, nel 1961, Jurij Gagarin aveva compiuto la sua missione. Alle discussioni di se e quando si potesse arrivare sulla Luna, mia nonna assumeva un’aria di superiorità e, quasi con fastidio, mi apostrofava: “Hai fatto tante scuole per niente.”

“Nonna, spiegami!” “No te pòl ‘ndàr suła Luna! Te tornarìe zò co ła tèsta da mùss![Non si può andare sulla Luna! Torneresti giù con la testa da asino!]

Certe vicissitudini di follia, successe tra gli astronauti, reduci dello spazio, mi han dato sovente da pensare a mia nonna e alla sua teoria della testa d’asino. Morta nel 1967, non ha potuto vedere Neil Armstrong sulla Luna, nel 1969.  Si è tenuta la sua convinzione… forse lassù le avranno spiegato se veramente gli americani siano stati sulla Luna o invece non ci siano stati, come dubita qualcuno.

N.b.: per i segni alfabetici particolari, come la l tagliata, cioè ł, vedere nel menù la pagina ‘Linguistica veneta

1 commento su “15 uova, 15 lire all’una [26]”

  1. QUESTE IMPORTANTI FIGURE NON SOLO HANNO FATTO LA NOSTRA STORIA ,MA CI HANNO TRASMESSO VALORI CHE LE ATTUALI GENERAZIONI, MOLTO PIU’ ACCULTURATE, NON SONO RIUSCITE AD INFONDERE A QUELLE SUCCESSIVE. BUON RIPOSO NONNA MERAVIGLIOSA

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