Chissà cosa vuol dire 5 [943]

Perplesso5
Da cosa deriva, possibilmente con precisione, questo modo di dire?

Revisione del testo: 9  novembre 2021 ore 18:00  – Revisione delle immagini: 9 novembre 2021.  – [Segue dal 942] – {Il racconto è un racconto in parte umoristico ed in parte non troppo coerente: serve per evidenziare l’uso dei modi di dire. Nell’ultima parola di ogni modo di dire, si trova un apice0 che rimanda ad una nota alla fine dell’articolo, la quale, a sua volta, cerca di spiegare il modo di dire stesso. Sono omessi i modi di dire banali del tipo ‘mi faceva gli occhi dolci’, dove il modo di dire si spiega da sé.}

Racconto:

E così, mi feci assumere come guardia notturna da un Istituto di Sorveglianza. Per il mio carattere, era un lavoro che mi calzava a pennello44. Ero in vena45 di fare cose nuove: volevo fare piazza pulita46 della mia vita precedente. Ero passato dalla vita in famiglia ad un lavoro di poliziotto… mi dettero in dotazione un armamentario nuovo di zecca47 e, per rompere il ghiaccio48, mi mandarono a sorvegliare alcuni negozi in periferia. Li pregai di mettere nero su bianco49 il percorso, gli orari, le sorveglianze specifiche: insomma, volevo mettere i puntini sulle i50,  in modo che nessuno potesse menare il can per l’aia51 se fosse successo qualcosa. Il lavoro, come potete capire, era pericoloso e così contavo di prendere due piccioni con una fava52: ingraziarmi i titolari, che mi vedevano diligente e non correre rischi di fare brutte figure.

Purtroppo, capii che non bisogna mai mettere  troppa carne al fuoco53: il mio desiderio di ordine e di tranquillità venne male interpretato e il titolare mi disse: “Tu sfondi una porta aperta54 e stai scoprendo l’ acqua calda55: le cose che chiedi, fanno parte del nostro comportamento quotidiano. Stai partendo male. Se credi di essere venuto qui per insegnarci, prima ancora di cominciare, non ci siamo.”

Io, allora, per salvare capra e cavoli56,  dissi: “Mi scusi… pensavo di farmi vedere diligente ed invece mi rendo conto che ho disturbato. Non succederà più.”

Il titolare mi rispose: “In questo lavoro, bisogna avere l’occhio di falco57 e ricordarsi che il pericolo è grande: la guardia notturna ha sempre una spada di Damocle58 sopra il capo;  ricordati che il nostro tallone d’ Achille59, come guardie notturne, è la faciloneria: quando uno tira i remi in barca60 e si distrae, per la noia notturna, allora ha toccato il fondo61: non è possibile fare peggio e il delinquente lo aggredisce proprio in quel momento; in quell’ istante, oltre che disattento sei  disorganizzato, anche se non te ne rendi conto e allora, per salvare la pelle, non ti resta altro che tagliare la corda62.  E invece, bisogna sempre venderla cara, la pelle63. I delinquenti parlano tra di loro e sanno quali siano le guardie agguerrite. Per non piangere poi lacrime di coccodrillo64, bisogna stare sempre sul chi vive e, al minimo rumore, bisogna pensare: qui, gatta ci cova65. Questa, allora, è una guardia notturna di classe e la classe non è acqua66. Se non impari a comportarti così, il gioco non vale la candela67, né per te, né per noi: ripeto che si rischia la vita.

Certi vengono qua e pensano: “Io faccio il mio lavoretto, dormicchio… ho trovato la gallina dalle uova d’oro68…” e invece, caro mio, non è proprio così. Ma questa non è farina del mio sacco69: è il manuale dell’ Associazione Nazionale dei Servizî di Vigilanza… ricordati che stai rischiando la vita, sempre: la guardia notturna cammina sempre sulle uova70. La guardia poco accorta ci fa stare sempre sulle spine71, perché noi sappiamo che, prima o poi, qualcosa di negativo succederà. Poi, quand’è successo, se non fosse da piangere, sarebbe da ridere nel sentir le scuse. La guardia, allora, tira in ballo72 tutti: tutti, a sentir lui, sarebbero corresponsabili, tranne lui, naturalmente. Come in un complotto, tutti, secondo lui, gli hanno rotto le uova nel paniere73. Ma può tirare acqua al suo mulino74 finché vuole: lui stesso, prima o poi, si rende conto che le sue scuse non stanno in piedi e allora si decide a vuotare il sacco75: di solito, dicono di aver allentato la vigilanza, oppure, per la noia, di essere entrati in un Trani a gogo76… cioè non avevano fatto ciò per cui erano stati pagati. Sembra un lavoro qualsiasi… ma non lo è. Poi, pensano di farci le corna77, di andare in un altro Istituto di Vigilanza ma noi, tra Istituti,  ci parliamo… quando uno crede di fare il furbo, si trova su di una strada. Cercare un altro Istituto, pensando che noi del settore non ci si scambino le referenze, per la guardia notturna disonesta è come cadere dalla padella nella brace78. Poi, non gli resterà altro che rodersi il fegato79 “.

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Spiegazione:

  1. Calzare a pennello: se un vestito ti sta addosso veramente bene, sembra che lo stesso sia dipinto sul tuo corpo. Il vestito che calza a pennello è quindi talmente perfetto che sembra disegnato addosso da un pittore. Viene dal XIV° secolo.
  2. Essere in vena : proviene dall’antichità, attraverso i medici. Chi non è in vena di fare una cosa, non ha il coraggio o la voglia di farla. Nei tempi antichi, i medici usavano sentire il polso dei pazienti per valutare il loro stato di salute e, di conseguenza, sentenziare se il malato fosse ‘in buona vena’, cioè in buona salute. Chi è ‘in vena’ si sente in forma.
  3. Fare piazza pulita: svuotare tutto, eliminare tutto ciò che è rimasto nella piazza.
  4. Nuovo di zecca: la Zecca di Stato è l’ente che stampa monete, francobolli e altri documenti ufficiali dello Stato stesso. Le monete appena uscite dai macchinari della Zecca sono fresche di conio (il conio è uno dei due cilindri d’acciaio, usati per incidere la faccia di una moneta) e, quindi, nuovissime e mai usate. Da qui, il modo di dire ‘nuovo di zecca’ è stato esteso a qualsiasi cosa sia appena stata prodotta, comprata o ricevuta, fino a riferirsi, anche, a oggetti usati pochissimo.
  5. Rompere il ghiaccio: Superare un primo momento di ‘freddezza’ nelle relazioni interpersonali. Affrontare una difficoltà iniziale, prendendo l’iniziativa che nessuno osava prendere. Si pensa che l’ origine di questo modo di dire nasca dall’ usanza dei barcaioli di utilizzare picconi e mazze, per spezzare il ghiaccio e poter quindi navigare nelle acque gelide di fiumi e mari. Una volta rotto il ghiaccio, si può procedere nella navigazione (nel nostro caso, approfondire la conoscenza).
  6. Mettere nero su bianco: richiama la frase latina verba volant, scripta manent [le parole volano, gli scritti rimangono]. I due modi di dire significano la stessa cosa. Per evitare malintesi, un pezzo di carta scritto è fondamentale.
  7. Mettere i puntini sulle i: si può scrivere senza mettere i puntini sulle lettere i? forse, sì… in ogni caso, il detto ha acquistato il senso di commettere una inutile pignoleria, che infastidisce chi ascolta.
  8. Menare il can per l’ aia: farla lunga, indugiare in modo da non arrivare mai ad una conclusione e lasciare le cose come stanno. L’ aia (cortile interno delle fattorie) è uno spazio troppo piccolo per “condurre” (menar) il cane, il quale necessita di spazi decisamente più ampi.
  9. Prendere due piccioni con una fava: in senso figurato, significa ottenere dei vantaggi multipli attraverso una sola azione. Un tempo, le fave venivano utilizzate nelle trappole per la caccia ai colombi, per cui il detto allude al fatto che con una sola esca si possono prendere due prede (da qui il vantaggio multiplo).
  10. Mettere troppa carne al fuoco: il significato vero del modo di dire sembra essere che troppa carne al fuoco cuoce male, non viene buona.
  11. Sfondare una porta aperta: questo modo di dire si usa quando il tuo interlocutore dice una cosa su cui tu sei d’accordo, facendo sottintendere una certa meraviglia per il fatto che lui non l’avesse capito o saputo. Pertanto, non dovrà convincerti di pensarla come lui, perché già la pensi allo stesso modo (o con ancora più convinzione o addirittura da molto prima). Esempio chiarificatore:
    A: “Secondo me, stanno sbagliando tutti, bisogna fare in quest’altra maniera!”
    B: “Ma guarda che con me sfondi una porta aperta. Io l’ho sempre pensata come te ma nessuno mi ha mai ascoltato…”
  12. Scoprire l’acqua calda: modo sarcastico per deridere chi si vanta di aver inventato qualcosa di importante ma che, in realtà, già esiste ed è nota a tutti, proprio come l’acqua calda.
  13. Salvare capra e cavoli: significa salvaguardare due obiettivi (bisogni, interessi, tornaconti) apparentemente inconciliabili.
    CapraCavoli
    I sei protagonisti della storiella: il fiume, la barca, il barcaiolo, la capra, i cavoli, il lupo.


    Il modo di dire nasce da un famoso gioco di logica: un barcaiolo deve trasportare sull’altra riva di un fiume una capra, un lupo e dei cavoli. Ha a disposizione una barchetta che può contenere, oltre a lui, solo una di queste cose per volta. Può fare quanti viaggi desidera ma deve risolvere un ulteriore problema: non può lasciare soli sulla riva la capra e i cavoli, e neppure il lupo e la capra, perché la capra mangerebbe i cavoli o il lupo mangerebbe la capra. La soluzione è la seguente:

    traghettare per prima la capra;

    tornare indietro e traghettare i cavoli;

    riportare indietro la capra (per non lasciarla con i cavoli);

    traghettare il lupo (che ora starà coi cavoli);

    tornare indietro a prendere la capra.

    Il gioco è stato inventato da Alcuino di York, teologo e pedagogo inglese, che nel 782 fu chiamato da Carlo Magno a dirigere la Schola Palatina di Aquisgrana (in Germania, ora Aachen), una delle prime scuole pubbliche al mondo, destinata ai giovani aristocratici.

  14.  Occhio di falco: vederci molto bene. Quando una persona presenta una vista particolarmente acuta, è usanza dire che ha la vista di un falco, o di un’aquila. Come mai si fa riferimento proprio a questi grandi predatori dei cieli e non, per esempio, ai pettirossi o ai colibrì? se un essere umano potesse scambiare i propri occhi con quelli di un’ aquila, riuscirebbe a vedere addirittura una formica muoversi su un terreno che si trova a più di 2 chilometri di distanza: davvero stupefacente! queste capacità sono ovviamente dovute a peculiarità di cui solo gli occhi dei rapaci predatori diurni sono forniti. Gli occhi di un’ aquila sono particolarmente grandi, di forma quasi tubolare e possono contare su un’ incredibile acutezza visiva, traducibile nell’impressionante cifra di 50/10: questa è dovuta in parte al grande numero di fotorecettori presenti nell’ occhio del predatore, circa 5 volte superiore al nostro (parliamo di circa un milione di coni per millimetro quadrato, rispetto ai 200.000 presenti nell’occhio umano), ne deriva che il nervo ottico di questi uccelli trasmette al cervello un quantitativo di informazioni quasi doppio rispetto a quello che un comune essere umano è in grado di ricevere. Altra peculiarità dell’occhio di aquile e falchi è quella di poter ingrandire di anche 6/7 volte gli oggetti che compaiono al centro del loro campo visivo, come una sorta di teleobiettivo delle macchine fotografiche: questo, grazie ad una fovea (una zona della retina situata centralmente nella parte posteriore dell’occhio) molto più profonda rispetto a quella del genere umano. Le loro capacità di messa a fuoco risultano, inoltre, estremamente rapide, a causa di un potente e velocissimo cristallino, che consente loro di spostarsi celermente da oggetti a pochi centimetri di distanza, a oggetti posti a distanze incredibilmente lontane (più di 2 km di distanza, come ricordato in precedenza). Le curiosità non si fermano qui: le aquile, grazie all’ enorme numero di coni fotorecettori, riescono anche a percepire un numero di colori e sfumature di gran lunga superiore al nostro, arrivando addirittura a vedere le cosiddette frequenze ultraviolette: ecco perché possono percepire anche animali nascosti fra l’ erba alta o pesci che nuotano sotto la superficie dell’ acqua. Ultima particolarità, oltre alle numerose già ricordate, è la possibilità di usufruire di un mirabolante campo visivo: un essere umano, infatti, è dotato di un campo visivo di 180°, mentre un falco o un’ aquila riescono a spingersi addirittura sino a 340°, riuscendo a vedere un numero di oggetti incredibilmente elevato e quasi fin dietro al proprio capo.
  15. Spada di Damocle: Cicerone racconta che Damocle era un membro della corte di Dionigi I°, tiranno di Siracusa. Damocle sostiene, in presenza del tiranno, come quest’ ultimo sia una persona estremamente fortunata, potendo disporre di un grande potere e di una grande autorità: allora, il tiranno Dionigi I° propone a Damocle di prendere il suo posto per un giorno, così da poter assaporare a sua volta tale fortuna e Damocle accetta. Alla sera, si tiene un banchetto, durante il quale Damocle incomincia a tastare con mano i piaceri dell’ essere un uomo potente: cibi raffinati in tavola e bellissime ragazze intorno; solamente al termine della cena egli nota che, sopra la sua testa, è sospesa una spada accuminata,  legata solo ad un esile crine di cavallo. Dionigi l’aveva fatta sospendere sul suo capo perché capisse che la sua posizione di tiranno lo esponeva continuamente a grandi minacce per la sua incolumità. Immediatamente, Damocle perde tutto il gusto per il lusso che lo circonda e chiede al tiranno di poter terminare lo scambio, non volendo più essere ‘così fortunato’.
  16. Tallone d’ Achille: l’eroe greco Achille sarebbe stato immerso, quand’era molto piccolo, da Teti (la madre) nelle acque magiche del fiume Stige, così da divenire invulnerabile. Per immergere Achille, la madre dovette tenerlo per il tallone, che rimase così l’ unica parte vulnerabile. In altre fonti, viene narrato come, durante la guerra di Troia, Paride, venuto a conoscenza del punto debole dell’eroe, uccise Achille colpendolo con una freccia al tallone, in quanto esso era l’unica parte scoperta dall’armatura. Con ‘tallone di Achille’ si intende indicare il punto debole nascosto di una persona, di una macchina o di un sistema.
  17. Tirare i remi in barca: quest’azione si fa quando si è arrivati a riva o quando ci si vuole lasciar trasportare dalle onde. Si usa questa espressione per indicare il completamento di uno sforzo e la volontà di riposare o di sfruttare quanto fatto finora.
  18. Toccare il fondo: quando le cose vanno male, una volta arrivati al fondo non si può che risalire: arriveranno quindi belle notizie o quanto meno non ne potranno arrivare di peggiori. Riportiamo alcune frasi divertenti:

    Si dice che una volta toccato il fondo non si possa che risalire. A me, capita di cominciare a scavare. (Freak Antoni)

    Volevo chiedere a quelli che toccano il fondo di fare piano, perché, sotto, ci sono io. (Ciro Ruappi)

    Capita a tutti di toccare il fondo ma è meglio se capita a qualcun altro. (Ester Viola)

  19. Tagliare la corda: significa fuggire, svignarsela in genere, da una situazione sgradevole o pericolosa. Il termine deriva dal mondo marinaresco, infatti tagliare la corda significa salpare, partire in velocità, senza nemmeno sciogliere l’ormeggio dell’imbarcazione ma, per far prima a scappare, addirittura tagliare l’ormeggio stesso. Uno dei primi riferimenti a questa frase si trova nel terzo libro dell’ Eneide, quando Enea fugge assieme ai suoi compagni dall’ isola dei ciclopi, tagliando gli ormeggi, cioè le funi che legavano la barca.
  20. Vendere cara la pelle: difendersi accanitamente fino all’ultimo, soprattutto in caso di uno scontro armato, in cui si capisce di essere destinati a soccombere e pertanto si è ben decisi a uccidere quanti più nemici possibile. In senso lato, ricorrere a tutti i mezzi disponibili, compresi i più rischiosi o dannosi per tutti, pur di risolvere una questione difficile.
  21. Lacrime di coccodrillo: i coccodrilli lacrimano, talvolta anche in modo vistoso, per motivi puramente fisiologici; tali lacrime hanno lo scopo di ripulire il bulbo oculare e lubrificarlo in modo da facilitare il movimento della seconda palpebra che lo protegge in immersione; inoltre, le lacrime hanno la funzione di espellere i sali che si accumulano nell’organismo dei coccodrilli. Non avendo la sudorazione, come i cani, i coccodrilli possono espellere i sali solamente attraverso le lacrime e gli escrementi. La lacrimazione aumenta se il coccodrillo rimane a lungo fuori dall’acqua. Il detto trae origine dal mito secondo cui i coccodrilli verserebbero lacrime di pentimento dopo aver ucciso le loro prede o dopo averle divorate. Esistono diverse varianti di questo mito; spesso la credenza è riferita in modo specifico al caso di coccodrilli che divorano prede umane ma in alcuni casi viene anche riportato che a piangere sarebbe la femmina di coccodrillo che ha appena divorato i propri piccoli. Per concludere, è un modo di dire di uso comune che si riferisce a chi finge di provare dispiacere quando in realtà è disinteressato (o, a volte, anche compiaciuto) per il dolore o il danno arrecato.
  22. Qui, gatta ci cova: sta succedendo qualcosa di strano. Dovrebbe essere la gallina che ci cova: che ci covi la gatta, è davvero molto strano.
  23. La classe non è acqua: la versione originale, che spiega il significato, è: la classe non è una cosa comune, come invece è l’acqua. La riduzione a ‘la classe non è acqua’ manca di [comune come l’], perché dovrebbe essere ‘la classe non è [comune come l’] acqua’. Per la voglia di abbreviare, si è stravolto il senso e lo si è reso di difficile comprensione.
  24. Il gioco non vale la candela: quando i giocatori di carte si accorgono che la posta in palio è troppo bassa, possono dire che la vincita eventuale non vale nemmeno il costo della candela alla luce della quale, di sera, si sta giocando. L’origine sembra derivare, in realtà, dal mondo religioso. L’espressione originale infatti era “il santo non vale la candela”, e la si pronunciava relativamente a santi che non erano ritenuti in grado di fare grandi miracoli: non valeva la pena di accendere un cero a dei santi così scarsi e incapaci! ancora oggi, in Italia meridionale, si cambiano i patroni se il raccolto non è prospero, se c’è forte maltempo e così via.
  25. La gallina dalle uova d’oro: una favola del greco Esòpo parla di un contadino che possedeva una gallina in grado di produrre uova d’oro. Ad un certo momento, il contadino pensò di uccidere la gallina in modo da impossessarsi di tutte le uova dentro la pancia dell’animale, così, le tagliò il ventre ma senza trovare nulla. In tal modo, insieme alla gallina, perse anche le uova che essa faceva ogni giorno, e diventò povero. La morale della favola insegna ad accontentarsi di ciò che si ha, e che l’avidità gioca brutti scherzi.
  26. Non essere farina del mio/tuo/suo sacco: molto diffusa in ambiente scolastico, quando il professore dice: “Non è farina del tuo sacco.”. Non è opera tua, hai copiato. La locuzione è la traduzione di un latino goliardico e un po’ stravagante degli studenti del Medio Evo, “non est de sacco ista farina tua“, con il significato, appunto, di “cosa non scritta da te” e, quindi, “non è una tua idea”.
  27. Camminare sulle uova: essere in una situazione difficile o delicata, in cui qualsiasi azione rischia di provocare danno. In senso lato, agire con prudenza e circospezione, come procedendo in modo cauto e goffo su uno strato di uova per evitare di romperle. Riprende un passo di San Girolamo (Contra Iohannem Hierosolymitanum, 23,409 M), che altrove (Contra Rufinum,2,10) usa nello stesso senso l’espressione “camminare sulle spighe”, alludendo a questa particolare abilità propria di un personaggio mitologico di nome Ifi. (ripreso dal dizionario del Corriere della Sera)
  28. Tenere sulle spine: Tenere in ansia, in apprensione; far soffrire qualcuno e soprattutto creargli un disagio interiore come potrebbe fare chi si trovasse seduto sulle spine e cercasse di trovare sollievo al dolore cercando continuamente una posizione migliore.
  29. Tirare in ballo: questo modo di dire è di origine ignota, da far risalire a tradizioni popolari, quando c’erano le feste paesane in piazza. I popolani, che partecipavano a queste danze, letteralmente tiravano nel ballo dei recalcitranti amici che stavano a guardare, tranquilli. Il significato moderno è  quello di coinvolgere qualcuno in un’ attività non desiderata, spesso sgradevole o di dover sostenere una tesi altrui. Il dizionario Treccani dice: “tirare in ballo [rendere partecipe: è inutile tirare in ballo tuo fratello] ≈ chiamare in causa, coinvolgere, disturbare, scomodare.
  30. Rompere le uova nel paniere: rovinare i progetti che qualcuno aveva a lungo pianificato. Nelle fattorie, le galline depongono le uova in posti caldi e confortevoli e le covano per circa venti giorni. Il contadino si aggira con un paniere per questi luoghi e deve cercare le uova una per una, faticosamente, riponendole nel paniere, a mano a mano che le trova. Ma se qualcuno prende a martellate il paniere…
  31. Tirare acqua al proprio mulino: fare qualcosa che, direttamente o indirettamente, serva per un proprio tornaconto personale. Questo modo di dire italiano, fa riferimento ai mulini ad acqua. Già presenti al tempo dell’antica Roma, si diffusero poi in Europa a partire dal IX secolo: erano uno dei più antichi impianti meccanici creati dall’uomo per la produzione di generi alimentari. L’energia prodotta dalla ruota a pale di un mulino ad acqua (in genere mossa dal corso di un fiume o di un torrente) permetteva alla macina di polverizzare 150 kg di grano in un’ora, l’equivalente del lavoro di 40 schiavi. Ecco, dunque, perché era importante che al proprio mulino arrivasse più acqua possibile. Occorre rilevare che i mulini a vento (non ad acqua) erano già presenti in Persia (l’attuale Iran) già tremila anni prima di Cristo.
  32. Vuotare il sacco: in senso figurato, ha il significato di rivelare tutto ciò che si sa, con particolare riferimento a confidenze e segreti; significa anche confessare, fare una confessione (C’è voluto un po’ di tempo, ma alla fine i poliziotti sono riusciti a fargli vuotare il sacco; è stato lui a uccidere la moglie e il suo amante). Si tratta di un modo di dire che trae origine dal gergo giuridico; anticamente, infatti, tutti i documenti di un processo venivano infilati in un sacco. Nel corso del dibattito processuale, l’avvocato arrivava in aula con il suo sacco colmo di pergamene e rotoli e lo vuotava davanti al giudice prendendo man mano ciò che gli serviva.
  33. A gogò: francesismo derivante dall’ antico termine ‘gogue[divertimento piacere]. L’intensificazione di ottiene raddoppiando il tema, à gogue-gogue [con molto piacere]. Vino a gogò: bere vino con moltissimo piacere.
  34. Avere le corna: Non è chiaro il motivo per cui le corna siano il simbolo dell’infedeltà coniugale. Qualcuno suggerisce che l’aggettivo cornuto, nel senso di tradito, derivi dal maschio della capra (detto anche becco: da qui le espressioni “far becco”, “essere becco”) la cui compagna è nota per la disinvoltura con cui cambia partner. Però, nell’antichità, le corna erano simbolo di virilità, coraggio, audacia: gli dèi venivano rappresentati con le corna sul capo e, per imitazione, i regnanti le inserivano nei loro diademi. Anche i guerrieri ornavano con le corna di capro i loro cimieri. Non è chiaro perché le sorti di questa parola siano così fortemente mutate coi secoli. Molti studiosi hanno cercato di capire dove e quando l’espressione ‘avere le corna’ e l’aggettivo ‘cornuto’ abbiano cominciato ad avere il significato ingiurioso attuale, mentre una volta avevano un significato positivo. Secondo alcuni, fu a Costantinopoli, al tempo dell’imperatore Andronico Comneno (1120 circa -1185).  Si narra che il terribile imperatore bizantino fosse spietato con i suoi sudditi, imprigionasse chiunque lo avversasse e rapisse le mogli per tenerle come concubine, facendo poi appendere sulle case dei poveri mariti, per scherno, delle teste di cervo, come simbolo della preda cacciata. Quando, nel 1185, i soldati del re Guglielmo II di Normandia, diretti a Costantinopoli, arrivarono a Salonicco (allora Tessalonica), chiesero spiegazioni su quelle teste cornute appese sui muri della città, venendo a conoscenza della storia di Andronico. Portarono così l’espressione “mettere le corna” in Sicilia e da lì, il modo di dire si è poi diffuso in tutta la penisola italiana.
  35. Dalla padella nella brace: cambiare la propria situazione per peggiorarla involontariamente. L’espressione sembra derivare da un racconto tedesco dove un pesce cercò di fuggire dalla padella saltando nella brace (ed invitando i compagni a seguirlo), con un risultato evidente.
  36. Rodersi il fegato: si dice così quando si è molto arrabbiati o invidiosi di qualcosa, oppure ancora quando ci si è pentiti di qualcosa. Si usa il termine ‘rodere’ perché la rabbia fa produrre al nostro corpo un’ eccessiva produzione di bile. Il fegato produce bile, utile per la digestione intestinale ma, quando se ne forma troppa, provoca acidità di stomaco. I greci credevano che l’eccessiva produzione di bile rendesse le persone irascibili. La bile è una soluzione acquosa giallo-verdastra, isotonica, prodotta dal fegato e costituita principalmente da acqua (95%), elettroliti, lipidi (acidi biliari, colesterolo e fosfolipidi), proteine e pigmenti (bilirubina); il suo pH è leggermente basico. La bile, prodotta dal fegato, viene accumulata nella cistifellea, che è un organo del sistema digerente. La bile serve a facilitare la digestione e l’assorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili, e a neutralizzare l’acidità del chimo, proveniente dallo stomaco.

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