Il gioco dei morti [184]

morti
Pietre e sassi per il gioco dei morti.

Revisione testo: 01 luglio 2021 – Dovreste aver conosciuto le condizioni di vita dei primi anni ’50, quando io avevo otto anni circa. Io vivevo tra Venezia ed Ormelle, quindi i giocattoli li avevo sempre avuti a Venezia: Meccano, soldatini di terracotta, rettangoli di legno per fare un forte dove mettevo i cow boys, una coperta attorno al forte, posata con delle increspature che simulavano colline e montagne dove si nascondevano gli indiani.

Giocavo con un mio amico usando due dadi di osso numerati da uno a sei: a turno, dichiaravamo: “Questo indiano contro questo cow boy”, poi si lanciavano i dadi e chi otteneva il numero più basso doveva togliere dal gioco il suo personaggio di terracotta.

Col Meccano, prodotto a Liverpool, in Gran Bretagna, si facevano macchine fantastiche, come successivamente col Lego. L’attrezzatura era un cacciavite e una chiave per tenere il dado, C’erano delle piastre in lamierino rosso con dei fori per le viti e delle barre ad elle, robuste, in ferro verde verniciato, tutte forate per combinarsi tra di loro o con le piastre rosse. Quando ci ripenso, il Meccano mi sembra più adatto del Lego a sviluppare intelligenza e manualità. Anche più realistico, forse. Comunque, molto più costoso.

Ad Ormelle, da mia nonna, non portavo i giocattoli da Venezia perché mi sembrava di essere un privilegiato fuori dal mondo e per questo mi vergognavo come un ladro.

Una volta sola ho portato un giocattolino, un Braccio di Ferro (Popeye) piccolino che tirando e mollando uno spago vi saliva come fa un marinaio con una sartia. Al Ponte della Paglia, a Venezia,  c’era un omino che vendeva questi giocattolini a poco prezzo.

I ragazzini di Ormelle, a vederlo, ci lasciavano il cuore. Ho fatto tirare le buschéte: chi avesse estratto dal mio pugno la festuca più corta avrebbe vinto il giocattolo. Non ci credevano, sino al momento in cui l’ho dato al vincitore: costui mi ringraziò poi per un mese buono.

Nota: Buschéta = fuscello, pagliuzza.

Questo tipo di estrazione a sorte è regolata anche dalla legge ed è tuttora usata dai notai per dividere le eredità. Supponiamo che ci siano tre fratelli eredi e che i beni siano quattro campi di terra e una casa colonica. Il notaio stabilisce che a due campi corrisponde approssimativamente il valore della casa: Chi avrà la pagliuzza più corta avrà la casa e pagherà la differenza di valore di 80 mila lire ad ognuno degli altri due fratelli, che riceveranno due campi di terra ciascuno.

Il notaio, dato che ci sono tre teste (i tre fratelli), prepara tre pagliuzze lunghe circa 12 centimetri, poi una la accorcia di tre o quattro centimetri. Chiude nel suo pugno le tre pagliuzze, in modo che spunti un’estremità fuori dal pugno e sia impossibile sapere quale sia la pagliuzza più corta.

Ognuno dei tra fratelli prende una pagliuzza: chi prende la pagliuzza più corta, in questo caso, avrà la casa e pagherà 80 mila lire agli altri due fratelli che otterranno anche due campi ciascuno.

Molte volte, non c’è altro modo per risolvere tali problemi, perché possiamo supporre, ad esempio, che tutti volessero la casa. Le 80 mila lire sono stabilite dal notaio. Può succedere che i campi valgano più della casa e in questo caso chi ottiene i campi deve pagare una differenza opportuna.

Una caratteristica delle buschéte è che non si discute, non ci si può appellare, a meno che l’appellante non dimostri in tribunale che il notaio ha barato per qualche motivo. Migliaia e migliaia di casi, forieri di infinite discussioni, sono stati risolti in tal modo. Questo può accadere anche nei fallimenti, quando due o più persone comprano all’asta, assieme, dei beni che poi non sanno come dividersi o come assegnarsi.

Ma torniamo ad Ormelle.

Come dicevo, questi bambini e ragazzini non avevano niente, assolutamente niente. Una volta ho scritto sul gioco del maggiolino (vedi) ora spiegherò il gioco dei morti, un gioco che, forse, più povero non si può.

Materiale necessario:

  • Un certo numero di pietre rettangolari, diciamo dieci, ma può darsi che ce ne siano solo cinque o sei: quelle che si trovano in giro.
  • Un grosso sasso per ogni bambino.

PIETRESi allineano le pietre in piedi, poggiando sul terreno il lato più corto delle pietre (vedi figura), distanziandole di 20 o 30 centimetri e ponendo la più grande a sinistra e via via le altre sempre più piccole.

Se ad esempio le pietre sono sei, quella più grande di sinistra varrà un punto e le altre sempre un punto in più, sin che l’ultima a destra, la più piccola, varrà sei punti.

Ogni bambino ha un sasso, il più rotondo possibile.

A cinque metri circa di distanza dalle pietre si tira una riga per terra, usando un sasso appuntito. Questa riga non va oltrepassata dai partecipanti durante il lancio dei sassi.

Poi, a turno, si tira un sasso contro le pietre: si fanno tanti punti quanti quelli assegnati alla pietra colpita e ribaltata (il morto). Si va a dieci volte la pietra con più punti. In questo caso, la partita terminerebbe quando il vincitore raggiungesse 60 punti.

Come vedete, l’importante era, anche quella volta, giocare, magari con poco o niente.

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