Balcani 1970 2 [929]

Balcani19702
Per comodità, pubblichiamo di nuovo la cartina del viaggio.

Revisione del testo 27 settembre 2021 ore 09:30 – Revisione delle immagini: 26 settembre 2021 – Nella cartina ci sono 6 punti numerati: 0)Belgrado – 1)Skopje – 2) Titov Veles – 3)Gevgelija – 4)Atene – 5)Xilocastron.

[segue da 928]

Passiamo per Titov Veles (dove ci fermeremo al ritorno, segnato sulla cartina col numero 2) ed arriviamo a Gevgelija. Il programma è di fare il pieno di benzina perché costa molto meno che in Grecia e, dato che non ci possiamo fermare a pranzo perché il tempo non lo consente ed abbiamo in macchina delle scatolette di tonno e della marmellata, ci manca solo il pane. Arrivati alla periferia di Gevgelija, chiedo in croato ad un tipo vestito all’orientale, sperando che mi capisca: “Gorivo[carburante]. Ha capito perfettamente e mi dice “Blizu stanica [Vicino stazione]. La frase, in macedone, è perfettamente uguale al serbo-croato. L’ unica differenza tra il croato e il serbo è che il croato viene scritto in caratteri latini, mentre il serbo viene scritto in caratteri cirillici.

Anche il macedone si scrive in caratteri cirillici.

Cerchiamo quindi la stazione ferroviaria e vediamo un cartello di una nota marca di benzina, vicino al passaggio a livello, che a sua volta è attaccato alla stazione ferroviaria.

Ed ora, tenetevi sulla sedia… 

La benzina viene venduta dall‘impiegato della stazione e la pompa è dentro il passaggio a livello… in modo tale che, se stai facendo benzina ed arriva il treno, sei un uomo morto. Praticamente, ci si rifornisce di benzina rimanendo tra i binari. Il motivo è che quando passa il treno con la cisterna di carburante per il rifornimento, il treno si ferma e riempie il serbatoio che è sottoterra, attaccato ai binari. Il tutto si svolge in modo rapidissimo. L’impiegato della stazione, mostrando l’orologio, dice qualcosa di incomprensibile e, segnando ‘uno’ con l’indice steso verso l’alto, mi fa capire che il primo treno arriverà fra un’ora. Sarà pur vero ma la paura è tanta. Anche qui, pagamento anticipato. Niente pieno; non è possibile fare il pieno: si devono dire i litri che si desiderano e questi litri si pagano subito. Poi, anche se non ci stanno nel serbatoio della macchina, hai pagato e arrangiati. Penso un po’ e dico i litri, sperando di non dire litri in più della capacità del serbatoio e pago in dollari. Faccio scendere tutti gli altri tre dalla macchina e mi avventuro dentro al passaggio a livello… il distributore di benziana eroga il pattuito e poi si ferma. In qualche modo, l’impiegato ha maneggiato un contatore dall’ufficio. Self service… appena caricata la benzina (che c’è stata tutta), esco precipitosamente, faccio salire a bordo gli altri e adesso andiamo  al centro della cittadina per comperare il pane.

Parcheggiamo nella piazza centrale della piccola cittadina ed F1 rimane in macchina per evitare tentativi di furto, coi finestrini aperti, dato il caldo soffocante. Noi altri tre andiamo in cerca di un negozio di pane. Non ci sono negozi di pane: noto, tuttavia, che ci sono molte edicole e penso che neanche nelle nostre città occidentali si siano mai viste così tante edicole. Non ti riesce di chiedere dove vendano il pane alle donne: non rispondono e scappano, con passo affrettato. Chiedo allora ad un giovane uomo: “Kruh… psomì…[pane in serbo-croato e pane in greco] mi fa un sorriso e mi indica quella che io ritenevo un’ edicola, a dieci metri di distanza… non sono edicole! sono chioschi di pane… chiamo gli altri due, M2 ed F2 e lasciamo che F2 decida quale pane prendere. Anche qui, non ti consegnano il pane finché non hai pagato. Col pane, torniamo alla macchina blu… F1, nel frattempo,  ha tirato su i finestrini e si è chiusa dentro: una frotta di ragazzini la stanno guardando, toccano l’antenna della radio, i tergicristalli… F1 dice: “Ho dovuto chiudere tutti i finestrini, con questo caldo… i ragazzini mettevano la testa dentro all’automobile ed avevano cominciato a toccare gli oggetti… per favore,  andiamo via…”

Arriviamo al confine con la Grecia: coda molto lunga. Una del pomeriggio, caldo eccessivo. Usciamo dalla coda e ci mettiamo su un parcheggio con molti alberi ombrosi. Mentre aspettiamo che la coda diminuisca, ci mangiamo il pane macedone (molto buono, senza lievito) con le scatolette di tonno e con la marmellata. Improvvisamente, la coda non c’è quasi più… dico: “Voi continuate a mangiare, ci rimettiamo in coda ed io consegno i documenti.”

In quel periodo, la Grecia non riconosceva la patente italiana ed io mi ero dovuto fare, in Italia, la patente internazionale, chiamata ‘Permis de conduire[permesso di guidare] all’agenzia di pratiche automobilistiche che rilascia anche le patenti normali. Il militare greco, armato sino ai denti, controlla tutto, ci fa aprire il bagagliaio, guarda e dice: “Pa, odi[Andate pure].

Entriamo in Grecia, dove ad ogni chilometro, circa, c’è un cartello di un colore azzurro intenso, con disegnata una fenice che risorge dalle fiamme e con la scritta Είκοσι ένα Απρίλιος 1967, ovvero ‘Icosi ena aprilios 1967’. [Venti uno aprile 1967].

Il 21 aprile 1967 è il giorno in cui i colonnelli greci hanno fatto un colpo di stato. Ecco la ragione dell’armamento del soldato: egli era forse in attesa di eventuali reazioni da parte di chi non aveva gradito il colpo di stato stesso.  Proseguiamo il viaggio verso sud, passando per Kozani, Almiros, Tebe… a mano a mano che si scende, le case sono sempre più  bianche. Comincia a far buio e non siamo ancora ad Atene (numero 4 sulla cartina), che lasceremo sulla nostra sinistra per dirigerci verso il Peloponneso e quindi verso Xilocastron, nostra destinazione finale (numero 5 sulla cartina). Col buio, notiamo una cosa che prima non avevamo notata: in Grecia non c’è un regolamento per le luci degli automezzi ed i camions ne approfittano per mettere dappertutto tantissime luci, lucette e fanali di diversi colori: sembrano alberi di Natale. Naturalmente, con tutte quelle luci accese, non possono uscire dalla Grecia se non tenendole spente. I greci, almeno mi sembra, guidano tranquillamente.

Quasi a mezzanotte, arriviamo a Xilocastron (In realtà, con l’ora locale, era l’una di notte).

Chiediamo alla gente seduta fuori dai tavolini (dato il caldo, ce n’era tanta) dove sia l’indirizzo da noi voluto. Ci dicono che è la strada del lungomare e che non possiamo sbagliare, perché i numeri civici sono chiarissimi. Poi sapremo che i numeri chiarissimi li hanno messi i colonnelli. Troviamo la casa della kirya Popi [signora Popi] che ci accoglie con un sorrisone: era già a letto. Parla solo greco e quindi cerco di arrabattarmi con quel poco che so. La casa della signora Popi è lontana dieci metri dalla casa che ci è stata assegnata. La casa assegnataci è un corpo rettangolare di solo pianterreno lungo una trentina di metri con quattro porte: una porta accede alla cucina e le altre tre accedono alle camere da letto. Il complesso toilettes-doccia è a metà strada tra la casa della signora Popi ed i nostri alloggi. Sopra il complesso delle docce, ci sono dei serbatoi che si riscaldano col sole e così si ha anche l’acqua calda…

Scarichiamo le valigie e prendiamo posto nelle nostre camere. Camere ordinate, senza pretese, pulitissime e con icone sacre ortodosse su tutte le pareti. Ci sono i gechi che aspettano le mosche e le zanzare, come in Sardegna. I gechi sono delle lucertoline color rosa-carne che camminano anche sui vetri e sui soffitti, con le zampette adesive. Sono innocui nel modo più assoluto. Come ci mettiamo a letto, ci accorgiamo che le cicale non smettono di cantare per tutta la notte. Ci accorgiamo inoltre che, dato che la casa è in riva al mare, abbiamo a duecento metri verso ovest una balera che spara dei rocks ad altissimo volume… ma questo è niente: a duecento metri verso est un’altra balera spara dei rocks ad altissimo volume ma, naturalmente, diversi da quelli della balera occidentale… ebbene: il frastuono delle cicale e delle due balere ci accompagneranno per tutta la vacanza…  le balere alle tre di notte smettono ma le cicale vanno avanti fino ad ottobre, senza fermarsi mai.

Verso mattina,  sentiamo un suono prolungato di tipo baritonale: “aaaaaaaaaaah”. Da buon veneziano, spiego ad F1 che una nave, essendo noi sul golfo di Corinto, sta emettendo un segnale lungo che significa, secondo il codice marittimo internazionale, che  si sta avvicinando ad un gomito del canale. Emette il suono per segnalare la sua presenza… ma poi si sente: “iiiih, iiiih, iiiih, iiiiih…  aaaaaaaaaah…”. Ma quale nave… non era una nave ma era l’asino della signora Popi, legato sotto un arancio, che si lamentava ed aveva fame. Anche questo somaro di un asino ci sveglierà tutte le mattine. Ci alziamo ma dobbiamo prendere l’ora greca: mentre i nostri orologi facevano le otto di mattina, in realtà erano le nove.

Apriamo la porta della camera e vediamo il mondo greco di giorno. Per motivi di avanscoperta, vado per primo a fare la doccia: segnalerò ad F1 l’ eventuale presenza di problemi. Invece, nessun problema: tutto pulitissimo ed ordinatissimo e, incredibilmente, l’acqua della doccia, scaldata dal sole il giorno prima, è ancora calda, nonostante sia passata un’ intera notte. Chiedo ai Popi: e se non ci dovesse essere il sole? il marito della signora Popi mi spiega che sul Peloponneso soffiano i venti etési che vengono dal nord e quindi non si vede nuvola in cielo per tutta l’estate. Nel frattempo, le cicale continuano col loro fracasso .

Torno in camera e dico ad F1: ”Tutto pulito, tutto bene, dobbiamo spostare gli orologi avanti di un’ ora.” Anche F1 va alle docce. Sulla porta della cucina, troviamo dei canestri con una quantità abbastanza grande di limoni, arance, mandarini, albicocche, noci, nocciole: era un omaggio della signora Popi. Ci organizziamo  per fare il caffè. La signora Popi, per la prima mattina, dato che non abbiamo ancora fatto la spesa, ci presta un barattolo di caffè macinato alla turca e una pignatta con del latte. Ci dice che il latte, se ci serve, possiamo comprarlo da lei: ha delle pecore e quindi il latte che ci darebbe è latte di pecora. Ci spiega che anche in centro di Xilocastron difficilmente si trova latte di mucca. Il caffè è macinato impalpabile e non c’è la caffettiera o la moca: scaldiamo l’acqua su di un apposito pentolino di rame (cezve, con un manico lunghissimo) e ci prepariamo il caffè alla turca. Quando l’acqua bolle, si toglie dal fuoco e si aggiunge la polvere di caffè. Poi, dopo aver atteso per qualche minuto,  attraverso un setaccio fittissimo si versa il caffè dal cezve nelle tazze. Poi, non si devono più muovere le tazze per lasciare che la polvere di caffè si depositi sul fondo delle tazze. Fatica vana: comunque, è impossibile non trovarsi fra i denti i minutissimi granelli di polvere, tant’è vero che M2 chiamava questo caffè ‘mangia e bevi’.

Io ero pratico, perché mia nonna Epo, di origine turca, lo preparava ogni giorno che Dio manda in terra. Ho sempre bevuto anch’io il caffè alla turca. Se si vuole fare il caffè latte, conviene versare direttamente il caffè dal cezve alla tazza col latte.

Andiamo quindi a fare la spesa.   I coniugi Popi ci dicono che l’acqua delle docce non è potabile. L’acqua potabile viene da Loutraki, città viciniore, e viene portata coi camion che arrivano di notte. Si mettono delle giare fuori dei cancelli e si mettono delle dracme (per il prezzo esatto pattuito, modesto, in verità) in equilibrio, sull’imboccatura delle giare. Il camion con l’acqua arriva nottetempo, riempie le giare e si prende le monetine (dracme). Ma… se qualcuno ruba le dracme? non succede, perché le pene sono severissime, specialmente da quando ci sono i colonnelli. Se il sistema dell’acqua non dovesse funzionare, ci sarebbe una crisi totale della vita greca. Non si scherza con le dracme dell’acqua: ti capitano addosso anni ed anni di prigione.

Quindi, per l’acqua potabile ci mettiamo d’accordo coi coniugi Popi per avere la nostra parte. Si ottiene una giara, messa in cucina, dalla quale si attinge con un mestolo.

Ci facciamo cambiare i dollari in dracme dalla signora Popi, prendiamo l’automobile e ci rechiamo al centro di Xilocastron.

[segue]

Lascia un commento