Le fiabe per Maria 1 [944]

ducale
Il bocciolo di rosa del 25 aprile, giorno di San Marco, con una vista (del 1961) del Palazzo Ducale a Venezia e con, in primo piano, un drago, che si trova sulla prua di una bissona – Ernesto Giorgi ©

Revisione del testo:11  novembre 2021 ore 12:25  – Revisione delle immagini: 11 novembre 2021.  – Solo sul bocolo [bocciolo di rosa] che si regala alla futura suocera (e chi è benestante, ne regala uno anche all’amata) ci sono, a Venezia,  tante versioni. Vi racconto quella che, sin dalla mia infanzia, veniva raccontata dalle impiraresse(1) del sestiere di Castello, dove ho abitato sino a 20 anni di età. La variante è che, per dare un tono più piacevole, la facciamo qui raccontare da una nonna, ad una nipote di dieci anni. Buon divertimento e fatela leggere ai vostri ragazzi. Grazie.

Nonna: “Maria, fuori c’è un tempo infernale: gennaio, tramontana e bora assieme,

SpaccaOmbrelli
Venezia. Svoltato l’angolo di una calle esposta alla tramontana da nord a sud, ci si può trovare esposti a nord est, da dove proviene la bora. L’improvviso cambio di vento può spaccare l’ombrello.

tempo da spaccaombrelli(2), pioggia ghiacciata… sarebbe meglio che fosse già la festa del bocolo… ci sarebbe di sicuro un tempo migliore…”

Maria: “Nonna, quand’è la festa del bocolo? perché c’è questa festa?”

Nonna: “Ora te la racconto… c’erano, tanto tempo fa, una ragazza ed un ragazzo. La ragazza si chiamava come te, Maria, e il ragazzo si chiamava Tancredi. Era l’anno 870, quindi più di mille anni fa e la nostra città era stata costruita da poco tempo. Maria era la figlia del doge, che si chiamava Orso I° Partecipazio, che fu al comando di Venezia dall’ 864 all’ 881. Maria, come in tutte le favole che si rispettino, era una bellissima ragazza, bella come diventerai anche tu, aveva i capelli come i tuoi e a quei tempi, come sai, non c’erano giradischi o altre diavolerie  del genere: per ascoltare un poco di musica, ci volevano degli esseri umani. Ascoltare musica,       quindi, era un gran lusso che in pochi si potevano permettere.  Tra questi, naturalmente,  c’era il doge. Egli abitava proprio qui vicino, in uno di quei palazzi che si vedono in Campo Bandiera e Moro… ma quella volta si chiamava Campo de la Bragora”.

Maria: “Si, nonna, lo conosco: i fratelli Bandiera non potevano esserci, mille anni fa: è un nome attribuito da poco..”

Nonna: “Bene… in casa del doge c’era musica e spesso c’erano delle belle feste. Uno dei suonatori era Tancredi. Insomma, Tancredi era un giovane trovatore che aveva imparato da suo padre la tradizione provenzale, per cui sapeva suonare, cantare, recitare poesie e anche comporne qualcuna.”

Maria: “Era bello anche lui?”

Nonna: “Naturalmente, come in tutte le fiabe. Era bello ed anche molto gentile e molto educato. Maria lo ascoltava attentamente e, dopo un poco, si accorse che le piaceva moltissimo. Tancredi, dal canto suo, non aveva occhi che per Maria e, quando la vedeva, credeva di essere in paradiso. Ma Tancredi non aveva mai comunicato i suoi sentimenti a Maria, né tanto meno Maria aveva avuto il coraggio di dire a Tancredi ciò che sentiva dentro. Fu una sera che Tancredi disse: ‘Madonna Maria…’. Oggi avrebbe detto ‘Signorina Maria’ ma, a quei tempi, si diceva così… ho detto che Tancredi, imbarazzatissimo, disse: ‘Madonna Maria… mi avete ispirato una poesia e l’ho messa anche in musica… se la volete sentire…’

Maria rispose: ‘Io… vi ho ispirato… sì, si… per favore, la vorrei sentire…’ e mentre parlava, diventava tutta rossa…”

Nipote: “Che bella storia… e tu, nonna la sai questa canzone?”

Nonna: “Te la reciterò soltanto, perchè non conosco la linea musicale.  Diceva, più o meno così:

La mia vita trascinavo
e nessun piacere avevo…
poi, un giorno, ho visto lei…
la sua mano io vorrei…

Ho composto la canzone
ma non è una mia invenzione:
è il suo sguardo che ha creato
tutto questo… e son beato.

Nel mio sogno, la volevo,
nei miei sogni la sognavo.
Ora ho detto quel che sento
ma so già…
forse… ‘no’, lei mi dirà…

Ti è piaciuta? La musica, come dicevo prima, non la conosco ma mi hanno detto che, suonata col liuto, sia una musica dolcissima”.

Maria: “E Maria, cos’ha detto? dimmi nonna, dimmi…”

Nonna: “Maria… beh… non disse niente ma prese una rosa da un vaso di fiori che si trovava nella stanza e la appuntò, con un sorriso dolcissimo, sulla giubba di Tancredi… da quel giorno non si staccarono più: appena possibile, stavano sempre assieme… erano felici e non avevano bisogno di niente e dì nessuno. Nel giro di un paio di mesi, la madre di Maria, la moglie del doge, ovvero la dogaressa, prese la figlia da parte e disse: ‘Maria, non so come dirtelo, non vorrei avvilirti: tu sei la figlia del doge e non potrai mai sposare una persona di rango sociale come quello di Tancredi… ti dico subito: potrei, forse, anche convincere tuo padre ad acconsentire ma ci sono tutti i dignitari, tutti i ministri, tutti i nobili… costoro, non lo permetteranno mai… anche il doge deve sottostare alle usanze…’

Maria si sentì mancare la terra sotto i piedi. Il giorno dopo, vide Tancredi, gli buttò le braccia al collo e disse: “Io voglio te… solo te… ma mia madre ha detto che…” e raccontò a Tancredi tutta la storia. Tancredi disse che sarebbe tornato da Maria  il giorno dopo e che doveva assolutamente parlare con suo padre e con suo zio. Tornò il giorno dopo e disse a Maria che una soluzione ci sarebbe stata. Sarebbe costata un anno o due di lontananza… e informò Maria che a lui non  restava altro che prendere le armi per la Serenissima, gettarsi nelle battaglie e diventare un valoroso guerriero: tutta Venezia avrebbe parlato di lui, delle sue gesta e il doge avrebbe cambiato idea. Questo era il suggerimento di suo padre e di suo zio.
Tancredi aggiunse che non c’era tempo da perdere e chiese a Maria se fosse d’accordo. Maria rispose che era sicuramente d’accordo e che, se non fosse restato altro, quella sarebbe stato l’ unica soluzione. Si salutarono e Tancredi si imbarcò per andare a combattere contro i saraceni e i narentani, che infestavano il mare Adriatico. Entro breve, Tancredi si era già distinto ed a Venezia si cominciava a parlare di lui.

Adesso, s’inizia la parte brutta del racconto… una notte, il diavolo, che aveva un debole per la bellezza di Maria, le disse: ‘Maria, sono io, non temere, non ti farò del male, ma se vuoi rivedere Tancredi, devi diventare mia sposa sino al giorno prima del suo ritorno… altrimenti, Tancredi non ritornerà mai più… se invece accetti, lo proteggerò… tornerà e vivrai con lui per il resto di tutta la tua vita…’

Maria, inorridita, si mise ad urlare in un modo tale che anche il demonio sispaventò e scappò via”.

Sarà stato per il freddo, sarà stato per la storia, sta di fatto che Maria rabbrividiva. Si mise attaccata al caminetto e disse: “Brrr… che serata… che storia… vai pure avanti, nonna, grazie…”

La nonna: “Al sentire quelle grida di orrore, accorsero immediatamente sua madre e le domestiche, le quali, saputo il fatto, cercarono di convincere Maria che sicuramente era stato un brutto sogno. Maria rispose che non poteva essere stato un sogno e questo per un motivo ben preciso: si sentiva ancora, nella stanza, un odore nauseabondo, come di bruciato, di sterco, di rancido… non poteva averlo lasciato che il demonio. Sentita la madre superiora di un convento di Venezia, la stessa madre superiora disse che il diavolo, nel convento, non poteva entrare. Maria, quindi, sarebbe dovuta andare in  convento, sino a quando non fosse ritornato Tancredi: in questo modo, il demonio non l’ avrebbe potuta più disturbare.

Per mesi, la dogaressa andò a trovare la figlia ma appena usciva di casa e si metteva in cammino, seguita dalle sue nobildonne, sentiva sempre l’odore che aveva sentito quella sera: il diavolo non poteva entrare in convento ma seguiva la dogaressa costantemente, per potere, eventualmente, approfittare di qualche situazione. La dogaressa, per tranquillizzare Maria, non accennò mai al fatto che sentiva sempre l’odore del demonio e Maria aveva, anche se non del tutto dimenticato, accantonato il problema.

L’amico del cuore di Tancredi e suo compagno d’armi, Orazio, era ritornato a Venezia per il matrimonio del fratello. Maria, saputo che Orazio stava per tornare nella zona dei conflitti, lo mandò a chiamare, lo fece venire nl parlatorio del convento e gli affidò una lettera, da consegnare a Tancredi. La lettera diceva:

Tancredi, amore mio, sono in convento perché voglio partecipare ai tuoi sacrifici e al tuo impegno per il nostro futuro. Ho saputo da Orazio che ti sei distinto e che sei diventato un comandante. Qui a Venezia non si parla che di te e, finalmente, mio padre sarebbe orgoglioso di conoscerti. Ti amo.’ 

Maria, nella lettera,  non accennò alla brutta avventura del demonio, per non impensierire Tancredi.

Ma una brutta mattina… Tancredi ed Orazio, con le loro armature, si stavano dirigendo contro i nemici, quando, dalle fila dei saraceni, uscì un gigante di tre metri di altezza, grosso come una montagna. Aveva due occhi di fuoco ed un’ armatura nera. Il gigante, brandendo uno spadone enorme, disse: ‘Eccoti, finalmente, Tancredi: da lungo, lungo tempo aspettavo questo istante. Non ha voluto essere mia… non sarà nemmeno tua!’ Tancredi e Orazio si guardarono l’un l’altro: non capivano. Orazio disse: ‘Non capiamo cosa dice costui? in ogni caso, ci dobbiamo difendere da questo pazzo furioso!’ e, per primo, affrontò il gigante. Il gigante con un calcio gli sfondò un occhio e con un coltello gli tagliò i tendini del braccio sinistro. Il demonio si rivolse allora contro Tancredi e la spada enorme che portava in mano si trasformò in una spada stregata di fuoco. La fiamma stregata avvolse Tancredi, che rimase con delle ustioni profonde sanguinanti. Tancredi cadde sopra un roseto e, mentre stava per morire, tolse dal roseto una rosa macchiata col suo sangue, la porse ad Orazio e disse: ‘Io muoio… Orazio… fai avere questa rosa a Maria… ti prego…’ e non disse più niente, per sempre.

Orazio portò il corpo di Tancredi, con un’ imbarcazione, sino a Venezia. Tancredi fu considerato da tutti un eroe e fu esposto di fronte al Palazzo Ducale, in modo che tutti i veneziani potessero ossequiare le sue spoglie. Il suo fedele amico, Orazio, con un occhio solo e col braccio sinistro paralizzato, rimase accanto a Tancredi e, a coloro che lo interrogavano, spiegava che solo un essere venuto dall’al di là era riuscito a sconfiggerlo. Ad un certo punto, arrivò Maria, seguita dalla dogaressa e dal doge. Maria non fece una lacrima né disse una parola. Era come se fosse stata in un altro mondo, era come se fosse diventata di pietra. Orazio, appena la vide, aprì una bisaccia di cuoio, si inginocchiò davanti a Maria e con l’unica mano che gli rimaneva, estrasse dalla bisaccia una rosa e la consegnò alla ragazza, dicendo: “Questo fiore porta il sangue di un eroe. Ti ripeto, Maria, le sue ultime parole: ‘Io muoio… Orazio… fai avere questa rosa a Maria… ti prego…’. A questo punto, Orazio di mise a piangere disperatamente e disse: ‘Un demonio, era un demonio… era alto tre metri… non ha lottato ad armi pari… ha ucciso Tancredi con una stregoneria… con una spada di fuoco avvelenato… vigliacco… maledetto…’

Eravamo al ventesimo giorno del mese aprile. La cerimonia funebre fu celebrata nella chiesa di San Giovanni in Bragora. Il campo era assolutamente pieno di gente che non riusciva ad entrare in Chiesa. In Chiesa, Orso I° Partecipazio prese la parola: “Tancredi, un eroe, doveva diventare mio genero… il lutto della Repubblica durerà sino alla luna piena del mese maggio… è stato sconfitto dal demonio… non da un essere umano… in segno di lutto, io non parlerò per cinque giorni.”

Alla sera, il vecchio parroco stava per chiudere la sua chiesa, quando sentì un odore nauseabondo, come di bruciato, di sterco, di rancido… vicino al pozzo del campo, si vedeva una sagoma gigantesca, con due occhi di fuoco. Il parroco prese un crocifisso e col crocifisso ben in mostra, tenuto davanti a lui, si avvicinò alla sagoma diabolica.

DemonioCroce
Le porte dell’inferno non prevarranno su questo simbolo.

Il demonio, in piedi, chinò la testa e con un artiglio si coprì gli occhi, in modo da non poter vedere il crocefisso. Poi disse: ‘Siamo qua, prevete… siamo qua…’

Il prete rispose con una domanda: ‘Perché… perché fai tutto questo?’ e continuava a tenere il crocifisso davanti a sé…

Il demonio rispose: ‘Aaaah! quante volte l’ho sentita, questa domanda… perché… perché… semplicemente, perché io sono stato maledetto, prevete, perché non posso fare altro che il male e io odio il male ma ho commesso una grave mancanza, un tempo… e nessuno saprà mai cosa ho fatto… la mia punizione è odiare il male ma essere obbligato a farlo e pertanto odiare me stesso sempre di più… sempre di più… tu non sai, prevete, quanto io desideri essere annientato per non fare più del male ad alcuno… ero il più bello, il più buono, il migliore degli angeli… Egli mi stimava, mi rispettava… ho chiesto anche alla Morte di annientarmi… mi ha risposto con un verso della Commedia di Dante: taci, Lucifero, vuolsi così colà, dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare… ormai, prevete, siamo in confidenza e se vuoi, puoi nascondere il crocifisso…’

Il prete, invece,  espose la croce ancora di più e rispose: ‘Su questo simbolo, le porte dell’inferno non prevarranno…’

Lucifero: ‘Buon per te… vedi la mia natura… se tu avessi nascosto il crocifisso, ti avrei immediatamente sbranato vivo… è più forte di me… odio me stesso… odio coloro che possono fare il bene… devo fare più male possibile, sperando che Colui che mi ha punito si stanchi di me e mi annienti… il male… io sono il male… sono obbligato…” e così dicendo, lanciò un urlo da far rabbrividire e scomparve.

Maria visse ancora cinque giorni e, il 25 aprile, fu trovata morta di crepacuore nel suo letto, con il bocciolo rosso sangue posato sul cuore, che, da allora, divenne per i veneziani simbolo d’amore imperituro.”

Maria: “Bella, bellissima, nonna, questa storia… grazie…”

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Note:

  1. Impiraresse: donne popolane veneziane che siedono in calle e, tenendo in grembo delle perline di vetro perforate, fatte a Murano, creano, con dei lunghi aghi ricurvi, delle meravigliose collanine coloratissime. Lavorano con le mani ma hanno la bocca disponibile per raccontarsi fiabe, storie, pettegolezzi…
  2. Spaccaombrelli: dicesi di un fenomeno molto diffuso a Venezia. Nelle giornate invernali in cui spira la bora, quando ci si immette in una calle orientata da nord a sud, dove spira sempre la tramontana, negli angoli di queste calli i due venti si incrociano improvvisamente, con conseguenze disastrose per gli ombrelli. Le calli dove succede questo sono parecchie ma le più famose sono tre: la Calle del Vento alle Zattere, la Calle Pescaria sulla Riva degli Schiavoni e  la Calle de le Rasse, sempre sulla Riva degli Schiavoni.

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