Fiaba del merlo [143]

merlo
Un merlo nero e il merlo giallo della fiaba.

Revisione del 26 gennaio 2021- Introduzione: questa è una fiaba solo ed esclusivamente per ragazze e ragazzi dai 5 ai 7 anni.

Preghiamoi giovani studiosi di voler dire ai genitori che alcune cose esposte nella fiaba sono inventate, come è stato fatto altrove per il lupo che ha mangiato la nonna di Cappuccetta Rossa, mentre altre non lo sono e corrispondono alla realtà, come ad esempio la democrazia dittatoriale. Ai ragazzi (maschi) l’onere e l’onore di stabilire quali cose siano state inventate e alle ragazze (femmine) l’onere e l’onore di stabilire quali cose non siano state inventate.

Orsù: che vincano i migliori! pochi scherzi!

Il merlo (turdus merula) era sempre stato giallo, come si vede nella foto, dove abbiamo avuto la fortuna, rarissima, di riprendere un merlo in giallo e un merlo in nero. Il giallo, tuttavia, non era un colore intelligente perché di notte il merlo era visibilissimo e i principali strigiformi (rapaci notturni dagli occhi enormi allineati sulla faccia piatta (per vedere in 3d ed andar meglio a catturare le prede): gufo, grande e marrone, civetta, piccola e marrone, allocco, piccolo e bianco e barbagianni, grande e bianco, per finire con  l’assiolo, un gufetto piccolino molto simpatico, che sembra un soprammobile) se ne facevano delle scorpacciate; per questa ragione, quando uno si fa prendere in castagna come un merlotto si dice appunto ‘guarda che merlo…’. I merli avevano sempre invidiato le cornacchie: abbastanza più grandi di loro, col becco e zampe gialle come loro ma con piumaggio nero, che sembrava un vestito da sera. Il merlo è festaiolo: lo si intuisce dalla spensieratezza del suo canto; tuttavia, presentarsi a una festa da ballo vestiti di giallo… voi capite che, anche se fa rima, non è il massimo.

Non c’erano molte possibilità di dipingersi di nero, finché un bel giorno la stupidità umana venne in aiuto dei nostri piccoli amici. Era da tempo che, a Venezia, il Doge sosteneva che i nobili ed i ricchi spendevano troppo, solo per fare a gara per vedere chi poteva esibirsi di più, per darla sul naso agli altri benestanti ma un po’ meno benestanti. Per queste cose (per la sola apparenza), sin dai tempi di Roma ci furono delle leggi tanto severe quanto inutili, dette leggi suntuarie.

Tesi del Doge o dell’Imperatore o di chi comanda: vergognatevi, con la gente che patisce la fame, tutto questo sfarzo… farò una legge suntuaria (= che concerne le spese, da sumptus = spesa) per impedire di far imbestialire i poveri… non più di tot persone a tavola… non potete offrire banchetti a cento persone gratis… con 50 portate o anche più… con vini preziosi…

Antitesi del neoricco: E allora, se non posso mostrare che sono ricco, ho faticato per niente? Mia moglie deve essere carica di gioielli! (le mogli erano mooolto d’accordo…) Vogliamo esibire! esibire! dato che sputi sentenze, caro Doge, perché non cominci tu col dare l’esempio?

E via di questo passo. A Venezia, le prime leggi suntuarie furono promulgate attorno all’anno 1000: ma, come a Roma, i ricchi non ne volevno sapere… tutto sembrava inutile… sinché nel XVI° secolo, dopo cinquecentocinquanta anni, se ne venne a capo, anche se solo in parte. Le gondole, da allora in poi, sarebbero state tutte nere come il calafataggio (o anche calafatura, poi vedremo), nessun ornamento, panno nero per evitare anche verniciature nere preziose, gondolieri senza divise appariscenti. Per la calafatura si usavano pece mescolata all’ essenza di trementina veneziana, un mordente (sostanza acida) per far sì che la pece si attaccasse per bene al legno della gondola, impermeabilizzandola, come si doveva per forza fare per la parte immersa nell’ acqua, ché altrimenti sarebbe marcita. Mentre la trementina vera si ricava da un albero esotico (terebinthos in greco) che viene dal Mar di Marmara, quella veneziana si ottiene distillando la corteccia dei larici del Cansiglio. Ci sono dei luoghi appositi in riva alla laguna veneziana (squeri), fatti per la manutenzione e il calafataggio delle imbarcazioni. Voi direte: cosa c’entra tutto  questo coi merli? C’entra, perché per un merlo giallo bastava immergersi in un secchio pronto per il calafataggio e… ciak! (da cui l’attributo del merlo, che viene chiamato anche ‘merlo ciak’ e lui, dalla prima immersione, continua a fare: ciak… ciak…) il merlo era tutto bello nero, poteva andare ai parties come se fosse in smoking e ai matrimoni serotini come se fosse in tight. Solo il becco rimase giallo.

S’iniziò un periodo bellissimo per i merli, che riuscivano anche a nascondersi (nottetempo) ai loro predatori. Il gatto nero, tuttavia, non si faceva imbrogliare: nero anche lui, ci vedeva meglio di loro e li vedeva nella notte senza essere visto. Il micione nero doveva portare però un paio di occhiali scurissimi, altrimenti i merli avrebbero visto i suoi occhi gialli (per restare in tinta).

Il Borussia Dortmund di Germania ha la maglia gialla e nera perché Dortmund è uno dei pochi posti dove si conosca questa storia.

Il merlo divenne proverbialmente anche un motivo ornamentale, con la sua nuova livrea, tant’è vero che nei castelli, per far vedere che non si temono i nemici, vengono posti degli ornamenti sulle mura che vengono per l’appunto chiamati merli. Non sono neri, ma quanto si butta la pece bollente in testa agli assalitori, i merli (di pietra) diventano neri eccome. Nel periodo bellissimo, scelsero per alimentarsi un tipo di uva rosso-scura, quasi nera, che prese appunto il nome di merlotto o merlot che dir si voglia.

Un merlo famoso faceva il mago. Si chiamava Merlino e nell’ isola di Burano, vicino a Venezia, insegnò alle signore a fare dei ricami meravigliosi, che in suo onore vennero chiamati merletti.

C’era (e c’è) un problema: la calafatura non si impregna nelle penne ed al primo acquazzone il merlo ritorna giallo. Questo nei tempi in cui non c’erano le tinture, come vedremo poi.

Per evitare di ridiventare gialli, i merli, per paura della pioggia, si nascondono tuttora nelle siepi, o di bosso o di lauro (alloro): questa è una distinzione importante e vediamo il perché. Siccome col bosso (legno durissimo) Dal Negro di Treviso fa gli scacchi, quasi tutti i merli da bosso sanno praticare tale gioco molto bene. Tuttavia, dato che per una specie di atteggiamento snob giocano solo con gli scacchi neri (ovviamente per essere in tinta), i merli sono svantaggiati perché il nero muove sempre per secondo e quindi perdono abbastanza spesso. Per evitare questo, Ivone Dal Negro ha cercato di venir loro incontro ed ha fatto anche i mazzi di carte trevigiane, dove i merli non partono svantaggiati, anzi: giocano benissimo e si rifanno delle perdite agli scacchi.

I merli da lauro (nascosti in tali siepi) sono invece dei letterati che ambiscono ad avere sulla testa la corona d’alloro (= lauro). Non che scrivano dei capolavori ma è diventata un’abitudine esibizionistica, come dire: ‘ho fatto un’opera’. Le opere sono in genere dei romanzi gialli (il colore è in tinta). Sono, bisogna precisarlo, dei romanzi gialli del genere ‘noir’ (francese = nero, sempre in tinta). Scrivono usando canotti gialli con pennino nero ed inchiostro fatto con le bacche del vecchio tipo, sempre rigorosamente nero.

Quando succedono fatti rilevanti o disgrazie, sono i merli che scrivono la cronaca per i quotidiani, ovvero ‘una pagina nera della storia’. Questo è l’unico caso in cui si scrive con inchiostro giallo (sulla pagina nera della storia).

Il merlo ha un cervello speciale e sarebbe in grado di scrivere contemporaneamente due argomenti diversi su due fogli di carta diversi. Non avendo tuttavia una sedia, il merlo deve stare in piedi almeno su una zampa e quindi questa sua caratteristica positiva (di scrivere due cose contemporaneamente) non può essere apprezzata, perché in realtà anche lui scrive con una zampa sola.

Ne discende che dipende dai merli l’usanza di enunciare: “Non sappia la zampa destra quello che scrive la sinistra.”

E veniamo alle nuances (= sfumature, in  francese).

Il merlo maschio e la femmina che si immergevano nel secchio di calafatura erano praticamente indistinguibili, per lo meno all’ occhio umano. Tuttavia, le irritazioni della pelle dei merli erano all’ ordine del giorno. Questo, sino a quando la famosa ditta W produsse, in tempi recentissimi, due tipi di Tintura Madre per Merlo, una che costava meno, assolutamente nera e una che costava otto volte di più ma che aveva delle meravigliose nuances marron.

Indovinate chi optò per la Tintura Nera e chi optò per la Tintura Marrone?

Non indovinereste mai e quindi ve lo dico io: i maschi scelsero la nera che costava molto meno e le femmine la marrone, che non ci ricordiamo più quanto costasse. E così fu.

Nota bene: i merli, per offendersi l’un l’altro, non dicono mai, come facciamo noi, la frase “Guarda che merlo!”: tra merli, questa battuta non farebbe ridere nessuno.

Dicono piuttosto: “Guarda che tordo!”: e tutti ridono ma, chissà perché, il tordo non ride: è pur sempre un loro primo cugino… è di famiglia,,, se volete il nome e cognome del merlo, infatti, ora ve lo scrivo: turdus merula.

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